venerdì 29 marzo 2013

American Life


Un film di Sam Mendes con Jhon Krasinski, Maya Rudolph. USA, 2009.


Si chiama Away We Go, è stato presentato all'Edimburgh International Film Festival e tra i produttori figura lo steso Turtletaub di Little Miss Sunshine e Safety Not Guaranteed. Per la regia di colui che dopo American Beauty ha scalato l'olimpo del cinema internazionale fino ad arrivare a dirigere il recente Skyfall, in Italiano, American Life.

Si nutre d'infinita tenerezza la storia d'amore fuori dai cliché di due bizzarri e giovani promessi genitori confusi, Verona e Burt (Maya Rudolph e Jhon Krasinski), che dopo aver appreso la non programmata lieta notizia partono in viaggio per gli Stati Uniti a cercare il loro posto al sole: il luogo migliore per far crescere la creatura che attendono con ingenua dolcezza e che li renderà senza dubbio i migliori genitori possibili.
Ce ne andiamo. Phoenix-Tucson-Madison-Montreal-Miami.
Queste le tappe di un percorso di vita familiare intorno al mondo, alla ricerca di risposte che non arrivano nonostante la continua speranza di due genitori impreparati che non hanno ancora perso la fantasia per sperare nel megio e credere nelle promesse allo zucchero, sotto le stelle, fatte su un tappeto elastico davanti ad alberi d'arancio, ananas e banane di plastica. 

E lo sguardo materno di lei che guarda il suo romantico uomo contemporaneo fragile e sensibile è tra le migliori sensazioni che un film del genere possa offrire in segno di vero amore: chiacchierano perdutamente confidandosi senza limiti né segreti le proprie paure, ed è così che si costruisce una solida relazione condita dall'amabile cinismo di lei sapientemente dosato al goffo humour di lui. Scherzano e donano leggerezza alle proprie vite non avulse dai problemi della contemporaneità, escogitando un fedele gioco di attenzioni e intime convenzioni con le quali si divertono e fanno divertire dando spettacolo di se stessi in un mondo meno ammaliante di loro e ancora inesplorato.
Un modo naif, colorato e sbarazzino di raccontare le storie, quello di Mendes, che rende perfettamente riconoscibili le sue scene insolite, iconiche, dall'estetica un po' pop, un po' sgangherata e on the road: che sia la scena di Verona e della sorella nella vasca ba bagno d'esposizione a raccontarsi i ricordi del passato, o le filosofiche metafore dell'amore familiare come pancakes tenuti insieme solo da litri di sciroppo d'acero, ogni oggetto e ogni colore trovano il proprio posto come, in fondo, i due fantastici protagonisti che dopo svariate (dis)avventure (tra cui quella con la “cugina” di Burt – ottima maggie Gyllenhall, hippie sfegatata mamma senza passeggino) scoprono qualcosa di cui in cuor loro, inaspettatamente, erano già certi.

Più che un film sulla crescita dei due protagonisti (già maturi nel temere una loro possibile immaturità e nello scandagliare continuamente, sempre più affiatati, le proprie debolezze interrogandosi su se stessi e sui propri sentimenti) lo definirei un film sulla crescita del mondo intorno ad essi, sulla loro missione nell'aver sparso un po' della loro complice verità tra i giardini d'America sotto una colonna sonora da amare fino all'ultima nota, in gran parte composta da favolosi e intimi brani di Alexi Murdoch, indipendente cantautore inglese la cui calda voce un po' malinconica e il sound molto indie hanno reso il film favolosamente degno d'esser anche solo ascoltato, insieme ai classici di Bob Dylan, George harrison, The Stranglers e Velvet Underground: possibile resistervi?
























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