mercoledì 20 febbraio 2013

RUBY SPARKS


Il mio primo blueberryfilm arriva dal Sundance Film Festival ed è un vero gioiellino. 


È tra un french toast ed un caffè americano che si consumano le colazioni di un giovane scrittore un po’ imbranato alle prese con la classica “ispirazione dell’artista”, che si sa, talvolta abbandona impietosa gli animi più inquieti per poi tornare d’improvviso, rivestita della sua tipica bellezza, ad ammantare solo il genio di colui che ne sa rapire la fugacità traducendola in immortale poesia.
Ai limiti della sociopatia ed illuminato dall’affezionato analista, come da tradizione pseudo-intellettuale, Calvin, comincia a scrivere di sé nonché della fantastica donna-angelo che abita i suoi sogni sensuali e, ammaliante, prova a svegliarlo dal tragico senso d’inadeguatezza maschile oggi tanto in voga, capace di provocare niente di più che frustrante torpore sentimentale.
E sembrerebbe salutare, infatti, custodire nei meandri di una fervida immaginazione, fantasie sessuali anche ardite, pronte all’uso per i sognatori più romantici, ma qual è il limite entro il quale le anime salve degli artisti possono continuare a considerarsi tali?
Lo sa Calvin perché è dalla sua macchina da scrivere d’antan che nasce Ruby Sparks, una ragazza che il Woody Allen di “Provaci ancora Sam” (a cui ultimamente il cinema mondiale strizza l’occhio non poco) definirebbe “eccezionalmente bella, una bellissima ragazza, un’insolita bellamente ragazza, ragazzamente bella…”, la quale, come per magia, dalla carta prende vita e si materializza portando scompiglio nella vita dell’autore.
Una favola contemporanea quella che porta il nome di tale madama, e pur rientrando fastidiosamente nell’etichetta ingrata della commedia romantica, dimostra di saper rivitalizzarsi grazie, soprattutto, alla regia dei coniugi Dayton-Faris, ancora insieme per la loro seconda fatica cinematografica dopo il capolavoro indipendente “Little Miss Sunshine”, pellicola incantata del Sundance Film Festival difficile da raggiungere con la leggerezza dei suoi colori, l’irriverenza e lo stile naif degli scenari insoliti.
Avendo spogliato ogni personaggio da qualsiasi stucchevolezza di genere, anche la scrittura del film rende divertente questo piccolo miracolo cinematografico, grazie alla mano esordiente di Zoe Kazan, nipote d’autore, che si cuce piacevolmente il personaggio addosso come un vestito d’altri tempi, poiché, se non si fosse capito, oltre ad essere la sceneggiatrice del film, incarna proprio la Ruby in questione, per di più compagna reale dell’attore Paul Dano-Calvin.
Una storia intricata, dunque, in bilico tra fantasia e realtà, che anche se si perde in stereotipi già visti, acquisisce un sapore ed una dolcezza tali da  non affaticare neanche i palati più esigenti, coccolandoli senza invadenza.
Ci sono amori a cui non è necessario dare un senso e che, come tutte le cose belle, rivendicano ingenuamente la propria imperfezione perché, se è vero che è il difetto a rendere interessanti, questo film, dalle trovate comunque divertenti, è il perfetto esempio di un cinema che si libera dalle catene indulgenti dei propri peccati. 

Recensione già pubblicata su http://inchiostro.unipv.it/?p=9509

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