mercoledì 20 febbraio 2013

TINY FURNITURE


La prima volta l’ha fatto con Obama, parola di Lena Dunham.
Potrebbe risultare una dichiarazione pretenziosa, ed invero ha creato non poco scalpore inizialmente, invece, ed è già roba vecchia per chi sta sul pezzo come lei, si tratta di un semplice ed irriverente video-invito a votare Obama for president, perchè non la daresti mai (la fiducia) ad uno che non è carino, non ti ama e non si batte per i diritti delle donne.
La vedi negli show americani più alla moda flirtare maliziosa al cospetto di divertiti e sposati presentatori rapiti dalla sua simpatia, e subito dopo una battuta trasgressiva che manda in visibilio fior fior di pubblico attentamente selezionato, sboccia in un innocente sorriso da bambola, simile a quello del personaggio che spesso incarna, come fosse la Woody Allen dei nostri giorni, nei film e nelle web-serie-tv che dirige ed interpreta dando voce alla sua pazza pazza generazione.
Tra problemi d’amore, rapporti familiari sempre complicati e malattie sessualmente trasmissibili raccontate alle amiche, Lena Dunham mette in scena la vita normale dei giovani americani che, non a caso, l’hanno eletta, profeta in patria, paladina del magico mondo a cavallo tra il college ed il lavoro, anche oltreoceano misteriosa fucina d’incertezze, dove pure Aura, dopo essersi laureata in cinema, torna a casa e non sa che fare. Tutto questo e molto altro è “Tiny Furniture”, un piccolo film indipendente del 2010, valso all’allora ventiquattrenne Dunham premi su premi, tra cui quello per la miglior sceneggiatura esordiente agli Independent Spirit Awards 2011.
Metti una famiglia in scena, la vera madre e la vera sorella in campo ed è pronto il ciak, perchè se in America il cinema lo studi, finisce che ti ritrovi a farlo per davvero, e può essere autobiografico tanto per iniziare, come millantano tutti i grandi artisti.
E a guardare questa seconda fatica da filmmaker di Miss Lena ci si sente un po’ come dopo il finale di stagione di un bel telefilm, pieni di speranzosa fiducia in attesa di un seguito altrettanto amabile (che probabilmente arriverà presto se si parla di Girls).
Una soddisfazione rara nasce nell’ammirare la semplicità narrativa di una grammatica filmica ritrovata, dopo la perdizione ancora in atto dovuta al videoclip-style tanto in voga attualmente tra i sedicenti videomaker e che trova pace momentanea nei tradizionali campi-controcampi girati in nome della verità, senza artificiosi virtuosismi, i cui personaggi in carne ed ossa hanno storie vere da raccontare.
La parola d’ordine è parlare di ciò che si conosce, ammesso e non concesso che sia effettivamente interessante, come lo è, difatti, la vita comune dalle sfumature amare della Duhnam, che potrebbe fare di questa regola, un mantra per sé, artistico e sensuale.

Recensione già pubblicata su http://inchiostro.unipv.it/?p=9873

Nessun commento :

Posta un commento