Woody Allen, jazz e giochi di magia
E' tra i paesaggi di una Provenza dalle sfumature aranciate che Woody Allen ambienta la sua nuova comedy europea, un po' misteriosa e un po' magica, dalla fotografia filtrata, il sole fra i capelli e un humour a tratti spento.
Sarebbe più facile raccontare Magic in the Moonlight per esclusione, giocando a scoprire a quale film non assomigli, e allora si potrebbe dire che non è uno dei film-cartolina tipici dell'ultimo Woody, che non è un dramma dall'intrigo complicato, né un thriller sensuale.
Si tratta piuttosto di un'opera creata come da una fusione (non del tutto riuscita) delle tematiche preferite di Woody Allen, riproposte senza sprint all'interno di una trama troppo poco originale. Magic in the Moonlight rappresenta l'ideale fusione tra il cinema classico di Woody Allen e quello più recente: convivono, non sempre bene amalgamate, un'idea di nostalgia unita alla semplicità delle sue ultime storie.
Fanno l'occhiolino ai suoi film passati la magia, l'illusionismo e i giochi di prestigio (da sempre grandi passioni personali del regista), gli anni '20 e il jazz, elegante binomio diventato quasi un marchio di fabbrica, i quesiti sull'aldilà e il cinismo nei confronti della religione, della morte o dell'amore, corredato, come ai vecchi tempi, di citazioni filosofiche senza speranza.
Dalla sua cinematografia recente, invece, Woody Allen prende in prestito l'utilizzo di attori molto più conosciuti, le ambientazioni europee lontane dai quartieri di Brooklyn e Manhattan degli anni '70, una trama più lineare e uno stile meno nevrotico che inevitabilmente si fa anche più piatto e meno pungente.
- I can't forgive you, only God can forgive you.
- But you said there is no God.
- Precisely my point.