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domenica 21 luglio 2013

Little Miss Sunshine

Un film di Jonathan Dayton- Valerie Faris con Paul Dano, Toni Collette, USA, 2005.
Presentato al Sundance Film Festival nel 2006, è uno dei road movie familiari più divertenti e ben girati del cinema indipendente americano. Comedy e dramma in una stessa ricetta dal gusto inconfondibile.

Come molti film d'ispirazione indipendente, anche Little Miss Sunshine inizia con una carrellata di presentazione dei suoi bizzarri personaggi, ognuno unico nel suo genere, visto attraverso una propria caratteristica, nevrosi o stranezza.
Gli occhialoni dietro cui si celano gli occhi furbi, sensibili e sbarazzini di una dolce bambolina dai sogni importanti, sono la prima immagine dopo la quale inizia la rocambolesca traversata americana di una famiglia fuori dal comune: partenza dal Nuovo Messico, destinazione California.

Scritto abilmente da Michael Arndt, vincitore non a caso dell' Oscar alla sceneggiatura, e firmato dai geniali coniugi Dayton-Faris, è il film capostipite di tutta una serie di altre opere ad esso ispirate nonché prodotte, tra gli altri, dai fratelli fondatori di Big Beach: Marc Turtletaub e Peter Saraf.
Il tema del viaggio è quello che contiene poi tutte le altre tematiche ad esso correlate quali lo spirito familiare, la lotta personale alla volta di un sogno, l'unione e l'ironia a fronte delle disavventure.
Ogni personaggio è completo nella sua psicologia, nel carattere e nell'espressività: ottimi attori e buoni ruoli da interpretare, la sintesi perfetta.
Toni Collette (da poco recensita in Jesus Henry Christ) nei panni di una mamma gentile, sposata con un uomo inizialmente fastidioso che però riesce a riscattarsi, è colei che cerca di tenere le redini di una famiglia potenzialmente allo sfascio ma che invece trova nell'unione del sangue, il motivo per risollevarsi. Paul Dano, che in Ruby Sparks è ormai uomo fatto, intellettuale nevrotico alla ricerca della donna perfetta, qui è un adolescente sognatore e problematico, spirito punk, ribelle e scontroso dall'animo sensibile.
La piccola Olive, invece, è la mascotte di famiglia, fuori dall'ordinario, adorata a dismisura dal nonno e con una consapevolezza disarmante. Fondamentalmente è lei il motore della faccenda: si va in California per farla partecipare ad un concorso di bellezza.

La colonna sonora frizzante e movimentata, segue il ritmo del film che, soprattutto nella parte centrale dello svolgimento, si fa frenetico e sempre più divertente.

Un bel cine-proposito estivo da riguardare, commovente.


Little Miss Sunshine: it premiered at Sundance Film Festival in 2006. It's a fabulous road movie about the adventures of a very funny family.
Ably written by Michael Arndt and signed by the brilliant couple Dayton-Faris, the film is the founder of a whole series of other works inspired by it and produced, among others, from the founding brothers of Big Beach Films: Marc Turtletaub and Peter Saraf.
The main theme is the journey, along with the personal struggle for a dream come true, the union and irony against mishaps. Each character is complete in its psychology, personality and expressiveness: good actors and good roles to play, the perfect synthesis.







domenica 2 giugno 2013

Everything is Illuminated

Un film di Liev Schreiber con Elijah Wood, Eugene Hüz. USA, 2005

E' l'opera prima (e ad oggi ancora ultima) del regista e attore americano Schreiber: trasposizione cinematografica dell'omonimo libro, è stata presentata con successo a Venezia, vincendo i premi Lanterna magica e Biografilm.

Elijah Wood interpreta lo scrittore Jonathan Safran Foer che dall'America intraprende un viaggio attraverso le sconfinate vallate dell'Ucraina alla ricerca delle proprie radici e di ricordi che gli parlino dell'amato nonno.
Un road movie a capitoli che vede i tre protagonisti andare alla ricerca del proprio passato ormai lontano ma ancora fin troppo presente, tra riflessioni politico-religiose, rivelazioni e vere e proprie illuminazioni.

Temi fondanti della ricerca, anti-semitismo, distruzione nazista, del ricordo e della convivenza tra diversi (protagonisti agli estremi: l'ebreo, l'anti-semita e il nipote nel mezzo) portano al grande tema finale che è quello della redenzione dei cattivi, la riappacificazione con se stessi dei buoni.

Un film più scuro di quanto ci si possa aspettare: somiglia poco ai consueti ridenti film firmati dai produttori Turtletuaub-Saraf (Little Miss Sunshine e oltre) che in sé contengono anche molto dramma ma quasi sempre esorcizzato da una brillantezza speciale che qui si ritrova, in misura molto modesta, solo nell'incipit, durante la scena del ristorante, quando Jonathan racconta di essere vegetariano, smorzando così, piacevolmente e con toni scanzonati, la tensione d'inizio film.
Poca commedia e poca brillante irriverenza, dunque, rendono il film a tratti noioso: visionato in italiano (tragedia), risulta altresì incomprensibile poiché, in seguito a discutibili scelte di doppiaggio, il recitato in russo (o ucraino) non è stato tradotto né sottotitolato. Ovvero almeno la metà del film. Perché mai?

Dei film targati Big Beach rimangono l'essenza del road movie, la presenza di tre personaggi bizzarri che pur non avendo nulla in comune si ritrovano coinvolti in un'avventura collettiva e i paesaggi ucraini scorrevoli dietro i finestrini di un'auto azzurro pastello tanto malandata quanto affascinante e pregna di storia e leggenda.
Un tiepido esordio alla regia che però segnala una certa consapevolezza estetica, un evidente stile personale fatto di inquadrature strette ed attenzione per i dettagli: oggetti, collezioni, particolare e frammenti vengono esaltati all'interno della narrazione, come nei migliori film di Wes Anderson, senza indugiarvi con ridondanza.

Elijah Wood, precisino perfetto in ruoli goffi, da occhiali nerd e completi impeccabili, è in estrema antitesi con Alex, interpretato dal bravo Eugene Hüz, attore americano d'origine sovietiche malamente doppiato, membro, tra le altre cose della gypsy band Gogol Bordello, il cui resto dei componenti compare alla stazione nei panni della banda musicale d'accoglienza per Jonathan. Colonna sonora ottima protagonista.

Ho riflettuto molto sulla nostra rigida ricerca, mi ha dimostrato come ogni cosa sia illuminata dalla luce del passato… dall'interno guarda l'esterno, come dici tu alla rovescia… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia vita.”


L'illuminazione a cui si aspira, quella dello spirito, diventa brillio estatico nella scena dei girasoli: uno sconfinato campo aranciato divide la strada dalla casa delle rivelazioni e va attraversato con speranza, consapevoli del fatto che, ancora una volta, l'importante non si rivela la meta, bensì il viaggio intrapreso per raggiungerla.

giovedì 25 aprile 2013

Sunshine Cleaning


Un film di Christine Jeffs con Amy Adams, Emily Blunt. USA, 2008.

Un'altra piccola dramedy indipendente uscita dal Sundance 2008: terza regia (e mezza contando anche il primo cortometraggio Stroke) per Christine Jeffs.
Rose e Norah Lorkowski, due adorabili sorelle, squattrinate e un po' sbandate, provano a mettersi in società dopo aver perso innumerevoli lavori: una società che si prospetta remunerativa se non fosse che una delle due, la più disadattata, è sempre pronta a mettersi nei guai.

Una storia ricamata con finezza ed ispirata ad una vicenda ascoltata su NPR Naional Public Radio, nel 2001, che ha incuriosito la regista tanto da metterla al lavoro per trarne un film dal risultato assai convincente e soprattutto emozionante.
Interamente girato nel New Mexico, Sunshine Cleaning conserva lo spirito indie di tutti quei film prodotti dai Turtletaub e Saraf che tanto amano questo stile, nonostante l'azzardo fin troppo evidente del titolo: un richiamo che si fa intricato se solo si pensa ai Little Miss Sunshine, American Sunshine, American Life, American Beauty che quasi si confondono tra loro, in un misto di discutibili scelte di mercato nostrane e d'oltreoceano.
Un film tecnicamente maturo che esula dai movimenti di macchina sporcati dei mumblecore più innocenti e si fa stabile narrazione: molto più incentrata sui personaggi, sulle loro storie da looser, sui problemi familiari di donne allo sbando, single o con figli senza padri, con genitori a cui badare e senza lavori con cui mantenere le fila di vite già abbastanza disastrate.
Il tutto raccontato con la leggerezza di un tocco comedy che rende lo spirito naif dei personaggi, interpretati da Amy Adams e Emily Blunt, totalmente amabile.
Emily Blunt in particolare, perfetta nel ruolo della giovane zia single malinconica e bad girl che racconta storie dell'orrore tentando di soffocare vecchi dolori di bambina che prima o poi dovrà affrontare.

Bella interpretazione anche per Oscar (Jason Spevack) all'epoca già affermato attore undicenne, nel suo ruolo simpatico, espressivo ed un po' impertinente che lo ha reso la mascotte dell'intero film.
Ultima nota, ma non meno importante, va al personaggio di Winston (Clifton Collins Jr.), il più interessante e riuscito, quasi invisibile ma al contempo molto presente: il più romantico, l'uomo che in silenzio ammira il mondo e le donne che lo circondano, amandole in qualche modo forse, aiutandole con amicizia, sorridendo delle loro ingenuità e offrendo loro la propria solidarietà. Fin dal principio è lui il personaggio migliore, quello buono su cui lo spettatore può veramente contare e per il quale spera subito il meglio, perché in fondo se lo meriterebbe un bell'amore sincero, una nuova metà da abbracciare e da cui essere abbracciato.
Un orecchio anche alla colonna sonora con "Cure for this"- Golden Smog.


venerdì 29 marzo 2013

American Life


Un film di Sam Mendes con Jhon Krasinski, Maya Rudolph. USA, 2009.


Si chiama Away We Go, è stato presentato all'Edimburgh International Film Festival e tra i produttori figura lo steso Turtletaub di Little Miss Sunshine e Safety Not Guaranteed. Per la regia di colui che dopo American Beauty ha scalato l'olimpo del cinema internazionale fino ad arrivare a dirigere il recente Skyfall, in Italiano, American Life.

Si nutre d'infinita tenerezza la storia d'amore fuori dai cliché di due bizzarri e giovani promessi genitori confusi, Verona e Burt (Maya Rudolph e Jhon Krasinski), che dopo aver appreso la non programmata lieta notizia partono in viaggio per gli Stati Uniti a cercare il loro posto al sole: il luogo migliore per far crescere la creatura che attendono con ingenua dolcezza e che li renderà senza dubbio i migliori genitori possibili.
Ce ne andiamo. Phoenix-Tucson-Madison-Montreal-Miami.
Queste le tappe di un percorso di vita familiare intorno al mondo, alla ricerca di risposte che non arrivano nonostante la continua speranza di due genitori impreparati che non hanno ancora perso la fantasia per sperare nel megio e credere nelle promesse allo zucchero, sotto le stelle, fatte su un tappeto elastico davanti ad alberi d'arancio, ananas e banane di plastica. 

E lo sguardo materno di lei che guarda il suo romantico uomo contemporaneo fragile e sensibile è tra le migliori sensazioni che un film del genere possa offrire in segno di vero amore: chiacchierano perdutamente confidandosi senza limiti né segreti le proprie paure, ed è così che si costruisce una solida relazione condita dall'amabile cinismo di lei sapientemente dosato al goffo humour di lui. Scherzano e donano leggerezza alle proprie vite non avulse dai problemi della contemporaneità, escogitando un fedele gioco di attenzioni e intime convenzioni con le quali si divertono e fanno divertire dando spettacolo di se stessi in un mondo meno ammaliante di loro e ancora inesplorato.
Un modo naif, colorato e sbarazzino di raccontare le storie, quello di Mendes, che rende perfettamente riconoscibili le sue scene insolite, iconiche, dall'estetica un po' pop, un po' sgangherata e on the road: che sia la scena di Verona e della sorella nella vasca ba bagno d'esposizione a raccontarsi i ricordi del passato, o le filosofiche metafore dell'amore familiare come pancakes tenuti insieme solo da litri di sciroppo d'acero, ogni oggetto e ogni colore trovano il proprio posto come, in fondo, i due fantastici protagonisti che dopo svariate (dis)avventure (tra cui quella con la “cugina” di Burt – ottima maggie Gyllenhall, hippie sfegatata mamma senza passeggino) scoprono qualcosa di cui in cuor loro, inaspettatamente, erano già certi.

Più che un film sulla crescita dei due protagonisti (già maturi nel temere una loro possibile immaturità e nello scandagliare continuamente, sempre più affiatati, le proprie debolezze interrogandosi su se stessi e sui propri sentimenti) lo definirei un film sulla crescita del mondo intorno ad essi, sulla loro missione nell'aver sparso un po' della loro complice verità tra i giardini d'America sotto una colonna sonora da amare fino all'ultima nota, in gran parte composta da favolosi e intimi brani di Alexi Murdoch, indipendente cantautore inglese la cui calda voce un po' malinconica e il sound molto indie hanno reso il film favolosamente degno d'esser anche solo ascoltato, insieme ai classici di Bob Dylan, George harrison, The Stranglers e Velvet Underground: possibile resistervi?
























giovedì 21 marzo 2013

Safety Not Guaranteed


Un film di Colin Trevorrow con Aubrey Plaza e Mark Duplass. USA, 2012.


E' l'esordio alla regia del californiano Trevorrow, è stato presentato al Sundance 2012 dove è stata premiata la sceneggiatura ed è ispirato ad un episodio realmente accaduto.


Safety Not Guaranteed prende spunto dall'annuncio realmente pubblicato nel 1997 sul Backwoods Home Magazine (l'autore di tale annuncio in persona è, tra l'altro, presente nel film in un cammeo): ma qui non si bada a scherzi, la storia inizia ed è subito mistero.
Tre inviati di una rivista (un redattore sfaticato e due stagisti in balia del proprio lavoro, Arnau e Darius) partono alla volta della tranquilla cittadina Ocean View per incontrare l'autore del messaggio misterioso su cui devono lavorare. 
Kenneth (Mark Duplass) è un uomo sfuggente e di poche parole, seguito e sorvegliato da agenti governativi per aver commesso dei reati e, convinto di poter viaggiare nel tempo grazie ad una potente macchina costruita negli anni, trova subito una complice confidente in Darius che, sfruttando le sue potenzialità di donna, intraprende una profonda conoscenza con lui per poter ottenere il maggior numero di informazioni possibili in vista dell'articolo da scrivere con i colleghi. Ovviamente la conoscenza si evolverà in un sentimento più complesso che, anche se con qualche colpo di scena, non renderà l'intera trama particolarmente originale fatta eccezione per il finale.
Interessante, pur tuttavia, la tematica principale del film: la sensazione di straniamento e di incompatibilità dell'uomo nei confronti del mondo contemporaneo, probabilmente troppo sbrigativo e mai comprensivo nei confronti delle anime più sognatrici, fragili o riflessive, quelle che finiscono poi per essere liquidate come "strane e temibili entità" da cui fuggire.
Attore, regista, musicista e montatore nella vita, Mark Duplass, oltre ad essere stato  l'attore, nel film, che più di tutti ha reso il suo personaggio estremamente interessante, conferendogli un'umanità surreale ma pur sempre lucida anche se ai limiti della follia, si ritrova nei crediti anche come executive producer insieme al fratello con cui, nel 2003, ha fondato una compagnia di produzione. 
Fondatore, nei primi anni del 2000, anche del movimento di cinema indipendente americano denominato mumblecore, è uno tra gli esponenti di spicco del nuovo cinema contemporaneo realizzato in digitale, con attori non professionisti e bassissimi budget. Vero cinema indipendente chiamato da molti critici anche metodo slackavetes in riferimento sia al maestro Cassavetes, sia ai film di dialogo amati così tanto da Linklater, di cui si cita in particolare Slacker, risalente agli anni novanta, quattro anni prima del grande successo diBefore Sunrise
Tra i produttori (e già dalla locandina, ma forse è un caso, si capisce) anche Turtletaub e Saraf, già insieme per Little Miss Sunshine: tante premesse valide per un film che pur nella sua godibilità, non scalda il cuore come ci si aspetterebbe da una crew così culturalmente stimolante ed avvezza a successi indie-internazionali. 
Particolare attenzione alla soundtrack ricca di brani e sonorità frizzanti che fanno da sfondo alle visionarie riunioni segrete tra Kenneth e Darius, ai loro allenamenti nel bosco e alle serate romantiche sulla spiaggia, lontano dal mondo, fatte di studi e programmi per la partenza: destinazione anno 2001. Anche se fino alla fine nessuno ci crede.



mercoledì 20 febbraio 2013

RUBY SPARKS


Il mio primo blueberryfilm arriva dal Sundance Film Festival ed è un vero gioiellino. 


È tra un french toast ed un caffè americano che si consumano le colazioni di un giovane scrittore un po’ imbranato alle prese con la classica “ispirazione dell’artista”, che si sa, talvolta abbandona impietosa gli animi più inquieti per poi tornare d’improvviso, rivestita della sua tipica bellezza, ad ammantare solo il genio di colui che ne sa rapire la fugacità traducendola in immortale poesia.
Ai limiti della sociopatia ed illuminato dall’affezionato analista, come da tradizione pseudo-intellettuale, Calvin, comincia a scrivere di sé nonché della fantastica donna-angelo che abita i suoi sogni sensuali e, ammaliante, prova a svegliarlo dal tragico senso d’inadeguatezza maschile oggi tanto in voga, capace di provocare niente di più che frustrante torpore sentimentale.
E sembrerebbe salutare, infatti, custodire nei meandri di una fervida immaginazione, fantasie sessuali anche ardite, pronte all’uso per i sognatori più romantici, ma qual è il limite entro il quale le anime salve degli artisti possono continuare a considerarsi tali?
Lo sa Calvin perché è dalla sua macchina da scrivere d’antan che nasce Ruby Sparks, una ragazza che il Woody Allen di “Provaci ancora Sam” (a cui ultimamente il cinema mondiale strizza l’occhio non poco) definirebbe “eccezionalmente bella, una bellissima ragazza, un’insolita bellamente ragazza, ragazzamente bella…”, la quale, come per magia, dalla carta prende vita e si materializza portando scompiglio nella vita dell’autore.
Una favola contemporanea quella che porta il nome di tale madama, e pur rientrando fastidiosamente nell’etichetta ingrata della commedia romantica, dimostra di saper rivitalizzarsi grazie, soprattutto, alla regia dei coniugi Dayton-Faris, ancora insieme per la loro seconda fatica cinematografica dopo il capolavoro indipendente “Little Miss Sunshine”, pellicola incantata del Sundance Film Festival difficile da raggiungere con la leggerezza dei suoi colori, l’irriverenza e lo stile naif degli scenari insoliti.
Avendo spogliato ogni personaggio da qualsiasi stucchevolezza di genere, anche la scrittura del film rende divertente questo piccolo miracolo cinematografico, grazie alla mano esordiente di Zoe Kazan, nipote d’autore, che si cuce piacevolmente il personaggio addosso come un vestito d’altri tempi, poiché, se non si fosse capito, oltre ad essere la sceneggiatrice del film, incarna proprio la Ruby in questione, per di più compagna reale dell’attore Paul Dano-Calvin.
Una storia intricata, dunque, in bilico tra fantasia e realtà, che anche se si perde in stereotipi già visti, acquisisce un sapore ed una dolcezza tali da  non affaticare neanche i palati più esigenti, coccolandoli senza invadenza.
Ci sono amori a cui non è necessario dare un senso e che, come tutte le cose belle, rivendicano ingenuamente la propria imperfezione perché, se è vero che è il difetto a rendere interessanti, questo film, dalle trovate comunque divertenti, è il perfetto esempio di un cinema che si libera dalle catene indulgenti dei propri peccati. 

Recensione già pubblicata su http://inchiostro.unipv.it/?p=9509