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mercoledì 24 febbraio 2016

Me and Earl and The Dying Girl | Quel fantastico peggior anno della mia vita


Sei frequenti questo blog conosci il genere di film che recensisco, c’è chi dice che sono praticamente tutti uguali, io dico di no, anche se spesso si somigliano. Se frequenti questo blog spero che sia perché questi film praticamente tutti uguali ti piacciono e in tal caso: questo post non ti deluderà.

Se cerchi un nuovo film un po’ indie, un po’ color pastello, un po’ cinefilo, romantico e cinico allo stesso tempo, divertente nonostante tutto, simile ad alcuni bei film che hai già visto, con quell’atmosfera lì che non sai molto descrivere: un film che sembrerebbe d’autore, in ogni modo girato bene, con quella bella luce che ti piace tanto… sei nel posto giusto.


Quel fantastico peggior anno della mia vita è la seconda regia del texano Alfonso Gomez-Rejon (e sì, uno che ha collaborato con Iñárritu o Scorsese, i film li gira bene) ed è il vincitore del Premio della Giuria e del Pubblico al Sundance 2015.

Greg ci racconta in voce off il suo ultimo anno di liceo, tra stranezze, passioni ed una vita che vorrebbe il più solitaria possibile, se solo la madre invadente e rompipalle non lo obbligasse a frequentare una compagna malata di leucemia. Una piccola storia di formazione sulla paura, l’amicizia, la creatività e la passione per il cinema.

Non è uno di quegli odiosi cancer-movies strappalacrime che non si sa ancora a chi possano veramente piacere: è una bella dramedy (dramatic comedy) che fa sorridere, fa tornare un po’ adolescenti (adolescenti intelligenti voglio dire) e fa riflettere.
Una regia frizzante ed un ritmo dinamico ne fanno un'opera leggera nonostante le tematiche.

Se ti piacciono lo stile di Restless, le tribù scolastiche di Juno, i toni pastello dei film di Anderson e il protagonista di Un giorno questo dolore ti sarà utile, goditi un buon momento davanti a questo film piacevole che soddisfa l’occhio e magari ti stupisce. 

sabato 28 novembre 2015

Mistress America


Greta Gerwig (qui anche co-sceneggiatrice) torna ad essere diretta da Noah Baumbach che, dopo 
While we’re young, torna a parlare del tempo che passa, di relazioni e di una New York intellettuale sempre in movimento. Gli ingredienti funzionano, la ricetta non si cambia.

Ma Baumbach cresce mentre i suoi personaggi tornano sempre più adolescenti, in preda all’isteria, all’emotività e a sogni impossibili che nel migliore dei casi si realizzano male.  

Si parla ancora di anti-eroi contemporanei, un po' inetti ma come sempre adorabili, in salsa agrodolce ovviamente: Frances Ha vi ricorda qualcosa?

Il personaggio della Gerwig, Brooke, ricorda un po’ la Mavis di Young Adult, una giovane donna irrisolta, dallo charme certamente poetico e perché no?, non poco comico, alla ricerca di un riscatto sociale, professionale, emotivo.

Lola Kirke (sorella di Gemima, la hippie ribelle di GIRLS) è quell’adolescente aspirante scrittrice quasi uscita da un episodio di Una mamma per amica, che sogna il college, ma che una volta conquistata la stanzetta della residenza universitaria, conosce il disincanto e vola alla scoperta delle luci di Manhattan.

Tra una citazione di Shakespeare ed un concerto new-metal, due piccole storie (ottimamente vestite e ben arredate) si incrociano e danno vita ad un simpatico ritratto generazionale, ovviamente sempre un po’ chiacchierone, con molti vinti e nessun vincitore, come da vera tradizione Baumbachiana.

Il ritmo è ben gestito in questa commedia delle donne presentata allo scorso Sundance Film Festival: il regista omaggia ancora una volta l’universo femminile fatto da donne indipendenti (“Avresti potuto sposare un ricco come me, invece hai scelto la libertà”) ed intelligenti (“Voglio una ragazza da amare, non da dover eguagliare”) che rivelano inconsciamente le grandi debolezze dell’uomo contemporaneo.

Un film creativo ed intelligente che affascina grazie alla sua sobria leggerezza.

E voi, l'avete visto?

lunedì 10 marzo 2014

Festival di Berlino: 3 film da non perdere


Si è svolta a febbraio la 64° edizione del Festival di Berlino, una delle manifestazioni internazionali più importanti relative al cinema di qualità proveniente da tutto il mondo, in ogni forma e genere. Tra tutte le opere straordinarie che hanno sfilato sugli schermi della Berlinale di quest’anno, eccone tre da non perdere assolutamente.

God Help the Girl di Stuart Murdoch

E’ un progetto musicale e sperimentale, nato dall’idea di Stuart Murdoch, leader scozzese del gruppo Belle and Sebastian che, avendo composto dei pezzi difficili da impiegare all’interno della propria discografia, ha deciso di investirli nella colonna sonora del suo film, comunque intimamente legato al concept-album a cui erano destinati. 
Un film musicale a tutti gli effetti dunque, nato da anni di lavoro da parte del regista e grazie ad una campagna di raccolta fondi fortunata.  Dopo la sua apparizione al Sundance Film Festival 2014 nella sezione “World Cinema Dramatic Competition”, ha fatto il giro del mondo approdando a Berlino, con la storia di Eve e della sua depressione tormentata. 
E se l’attesa si fa troppo estenuante, non esitate ad riascoltare la colonna sonora di Juno, perché è proprio nel 2007 che, mentre Murdoch cedeva alcuni dei suoi fantastici pezzi a Jason Reitman, vedeva la luce l’idea per il film che oggi attendiamo nelle sale.

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domenica 12 gennaio 2014

Searching for Sugar Man


Presentato al Sundance Film Festival nel 2012, è il debutto dietro la macchina da presa di Malik Bendjelloul.

Come mettere in immagini e parole tanta bellezza musicale? Searching for Sugar Man è un ritratto speciale, quello di Sixto Rodriguez, un musicista folk misterioso americano d’origini messicane che, dopo due dischi e un tragico fallimento commerciale, si ritira dalla scena ignaro dell’enorme successo che di lì a poco, nel caldo Sudafrica dell’apartheid, avrebbe riscosso senza eguali, arrivando a superare nomi al tempo ben più noti come quelli di Bob Dylan, dei Beatles o dei Rolling Stones.

Il poeta dei quartieri poveri veniva chiamato, di quei quartieri ricchi di storie, spiriti vagabondi, miseria e musica. Un volto sconosciuto, percepito e immaginato solo attraverso le copertine di quei vinili che tutti custodivano gelosamente e dai quali venivano graffiate via le canzoni proibite, che non hanno mai smesso di far sognare. E’ stato lui Sugar Man, l’uomo dai mille nomi, l’ispirazione segreta alle prime rivoluzioni contro l’apartheid, uno stimolo censurato che ha saputo cogliere i suoi sacri frutti.

E’ grazie alla sua misteriosa sparizione dalla scena che un giornalista e un fan sudafricani iniziano il loro viaggio alla ricerca di un artista dato ormai per perduto, del quale si narravano epiche leggende, racconti di fantastici suicidi e oscuri dissolvimenti sotto le note di una chitarra disperata.

La prima metà del documentario crea quel mito che nella seconda metà prende vita e si incarna nel corpo di un poeta inconsapevole, dalla dolorante potenza e dagli occhi di fuoco, ritratto dallo stupore ammirato di chi parla di lui con in bocca una tale meraviglia, di quelle riservate sollo all’asceta.

Lo stile vintage al sapore di una super 8 che, per problemi di costi, è stata sostituita felicemente da un IPhone e un’applicazione piuttosto riuscita, ci trascina in riva al mondo, a bere un tramonto perduto tra le coste di due continenti obliati.

mercoledì 11 dicembre 2013

3 cine-attese dal Torino Film Fest 2013



Il Torino Film Fest si è  concluso con il premio al miglior film assegnato a Club Sàndwich di Fernando Eimbcke, e come ogni anno, tra i film in concorso e non, sono state proiettate le migliori produzioni, soprattutto indipendenti, provenienti da tutto il mondo. Tra tutti, ecco di seguito tre film da non perdere per la prossima stagione cinematografica.

Only Lovers Left Alive
E’ l’ultimo film di Jim Jarmusch, il padre fondatore del cinema indipendente americano che ritorna dietro la macchina da presa dopo ben quattro anni. Sono suoi i gioiellini Coffee and Cigarettes e Broken Flowers, ed in generale tutta la sua filmografia è contrassegnata dal suo stile personale che però si plasma in base alle storie e ai generi che di opera in opera tratta. In Only Lovers Left Alive si parla d’amore, un amore che però diventa universale, nonostante apparentemente si dipani solo entro i confini del soprannaturale. Un vampiro musicista da secoli innamorato della sua donna, vedrà messo alla prova il proprio sentimento. Il realismo nell’irreale, la verità nel fantastico: due registri e due letture differenti  di un’opera che si presta ad essere interpretata, letta e inter-letta da diverse tipologie di pubblico.

The Way Way Back
Una dramedy direttamente arrivata dal Sundance Film Festival, diretta da Nat Faxon e Jim Rash al suo debutto alla regia: il quattordicenne introverso Duncan, durante una calda vacanza estiva in cui chiunque sembra deciso a rifiutarlo, stringe amicizia con il guardiano di un parco acquatico. Una riflessione naturale sulla diversità, la timidezza e l’accettazione di un mondo interiore più ricco, poetico e singolare da non sottovalutare.

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mercoledì 23 ottobre 2013

Stuck in Love


Un film di Josh Boon con Logan Lerman, Kristen Bell, Lily Collins, Jennifer Connelly

Uscito dal Sundance, Stuck in love è una romantic dramedy indipendente da non perdere. Scritta e diretta dal giovanissimo Josh Boon, è un’opera prima ed è stata girata in digitale nel North Carolina.
E’ un film pieno d’amore. Basti pensare allo splendido particolare per cui uno dei protagonisti si rivela appassionato di quella che a tutti gli effetti si potrebbe considerare tra le più belle opere della letteratura contemporanea americana. Raramente tanto amore si cela dietro ad una sola storia così ben intrecciata e quasi mai scontata. Un'opera pieno di perdono, dolore e grazia.
La grande espressività degli attori rende ogni personaggio un vero e proprio trionfo di verità e sentimento.
Uno dei punti di forza principali del film è la sceneggiatura: scritto benissimo, con un ritmo accogliente, vivace ma non frettoloso, il film scorre tra dialoghi scarni e profondi che raccontano una storia anche attraverso i suoi silenzi.
La leggerezza del film è ben bilanciata dal dramma che non si fa mai realmente patetico, riuscendo a fluttuare tra le sfumature della poesia senza diventare mai esagerato.
Riferimenti acuti e colti alla letteratura e alla passione vibrante per la scrittura, prerogativa di quasi tutti i personaggi, rendono la storia ancora più interessante, grazie anche a un cameo da colpo di scena degno dei più grandi sogni adolescenziali.
Vita in famiglia e vita da college: un richiamo romantico alle serie tv più belle, quelle che trasudano cultura americana senza ostentarla. Un vero ritratto familiare sulla complessità delle realzioni umane e il loro eterno indiscusso fascino.


domenica 20 ottobre 2013

Before Midnight


Sono usciti dall’ultimo Sundance e passati dal Tribeca Film Festival
Son tornati e oggi hanno quarant’anni. Adulti e disillusi, un po’ più cinici e stanchi, con ancora tante passeggiate da fare e tanti discorsi da affrontare. Son passati vent’anni da quella volta in treno, e alla spensieratezza del gioco, del pericolo, della curiosità e del tormento amoroso si son sostituiti i figli, i divorzi, e le amarezze della vita.
Il terzo capitolo della storia d’amore tra Céline e Jesse, girato dall’abile Linklater rappresenta la maturità, dei protagonisti, del regista e di una storia importante. Un’opera senza dubbio differente dalle due precedenti ma al contempo estremamente influenzata dal passato. I Céline e Jesse di oggi ricordano con tenerezza i loro venti e trent’anni che li hanno condotti in Grecia, a vivere una vacanza bucolica lontana dalla vita parigina. Ma i pesi dei propri errori si fanno sentire quando la stanchezza non concede né tempo né perdono e improvvisamente, una romantica serata si trasforma in un gioco crudele di colpe, rimorsi e domande a volte scomode.
Anche lo stile "cartolina" si è evoluto: non ci sono più la città, le strade i monumenti di Vienna o Parigi, bensì gli uliveti, i tramonti e le stradine caratteristiche di Messenia e Kardamyli.

La narrazione si sviluppa nell’arco di un’unica giornata e i due protagonisti sono affiancati da personaggi secondari che animano tutta la prima parte del film. L’elemento portante dell’opera, come per le precedenti, è ovviamente il dialogo, la verbosità tipica di una saga che da vent’anni incanta gli spettatori romantici.

La vera specialità del film è rappresentata dal rapporto reale tra i due attori e il regista, tutti accreditati per aver collaborato alla sceneggiatura (come sempre ricca di particolari, curata e originale) e aver creato un film molto personale. 
Il tempo passato nella finzione e nella realtà ha segnato e rivoluzionato una saga che è diventata un simbolo di qualcosa di più nel panorama cinematografico. Qualcosa che ispira veramente e non si lascia dimenticare. Una suggestione che la stessa Delpy ripropone spesso nelle sue regie. 

Un altro piccolo gioiello da guardare e custodire come un ricordo speciale, in attesa di un eventuale e sperato prossimo capitolo.

mercoledì 7 agosto 2013

The Future

Un film di Miranda July con Miranda July, Hamish Linklater. Germ-Usa, 2011
Locandina e incipit avrebbero suggerito toni da comedy un po' amara ma romantica, indipendente ed onesta, mentre dal Sundance Film Festival 2011 è uscito un film inquietante, dai toni molto cupi, dominato da misteriosi silenzi, al limite tra la realtà e il paranormale. 

Una storia d'amore particolare i cui protagonisti, precari trentacinquenni quasi straniati dal mondo e inglobati in un loro universo personale difficile da comprendere, decidono di adottare un gatto.
Gran parte della storia è proprio narrata dal gatto stesso, dalla sua voce stanca e commovente che riflette filosoficamente, con fare ascetico, sulla vita, la luce e la morte.
Affetti da una sorta di autismo sentimentale, Jason e Sophie rompono il proprio equilibrio stantio fino ad arrivare a quel turning point spiazzante che tutto stravolge. Mentre lui si impegna nella vendita di alberi porta a porta, entrando in contatto con altri personaggi fondamentali per la narrazione, lei, insegnante di danza a tempo perso, rimane a casa a provare coreografie da postare su youtube.

Tra i temi attuali, infatti, campeggia la tecnologia, l'odio-amore per il computer, internet, un'ossessione che li anima fino a decidere di doversene sbarazzare.
Percepibile il contrasto tra gli ambienti: locations aperte ed esterne alla casa per lui, interni stretti, quasi soffocanti per lei
Una confusione temporale disorienta lo spettatore poiché differenti piani di realtà finiscono per intrecciarsi indissolubilmente. Non è propriamente una commedia, ma da tale genere, il film, riprende la luminosità, i colori, le ambientazioni e la cura per il dettaglio scenografico, punto di forza dell'intera opera.

Miranda July, autrice, regista ed interprete dell'opera, porta in scena personalmente un corpo al quale dà vita in modo non convenzionale, alternando alla recitazione movimenti ritmici, danze o esperimenti fisici che rendono il film ancor più conturbante. Anche Hamish Linklater, inoltre, già recensito in Lola Versus, interpreta un ruolo particolare, dalla placidità terrificante.

Un film ricco di suggestioni e stimoli visivi che coinvolgono lo spettatore richiedendogli di rimettere in ordine i pezzi sparsi della vita di due losers di professione.

The Future: this movie, which is the second effort directed by visual artist Miranda July, premiered at Sundance Film Festival in 2011. It is not properly a comedy but from this genre takes the brightness of photography, attention for details, colours and settings.
In spite of these characteristics, this movie is very disturbing, full of mysterious silences.
A love story in which the protagonists are completely cut-off from the real world and incorporated into a personal universe difficult to understand. So, they decide to adopt a cat and much of the story is narrated by him: Paw Paw.
Among the current issues stands the technology, the love-hate for the computer, internet: an obsession which motivates them to decide to break up.
Noticeable the contrast between the environments and the characters: open and outdoor locations for him, indoor suffocating locations for her.
A film full of charm and visual stimuli that involves the viewer asking him to tidy up the scattered pieces of the lives of the two losers.



domenica 21 luglio 2013

Little Miss Sunshine

Un film di Jonathan Dayton- Valerie Faris con Paul Dano, Toni Collette, USA, 2005.
Presentato al Sundance Film Festival nel 2006, è uno dei road movie familiari più divertenti e ben girati del cinema indipendente americano. Comedy e dramma in una stessa ricetta dal gusto inconfondibile.

Come molti film d'ispirazione indipendente, anche Little Miss Sunshine inizia con una carrellata di presentazione dei suoi bizzarri personaggi, ognuno unico nel suo genere, visto attraverso una propria caratteristica, nevrosi o stranezza.
Gli occhialoni dietro cui si celano gli occhi furbi, sensibili e sbarazzini di una dolce bambolina dai sogni importanti, sono la prima immagine dopo la quale inizia la rocambolesca traversata americana di una famiglia fuori dal comune: partenza dal Nuovo Messico, destinazione California.

Scritto abilmente da Michael Arndt, vincitore non a caso dell' Oscar alla sceneggiatura, e firmato dai geniali coniugi Dayton-Faris, è il film capostipite di tutta una serie di altre opere ad esso ispirate nonché prodotte, tra gli altri, dai fratelli fondatori di Big Beach: Marc Turtletaub e Peter Saraf.
Il tema del viaggio è quello che contiene poi tutte le altre tematiche ad esso correlate quali lo spirito familiare, la lotta personale alla volta di un sogno, l'unione e l'ironia a fronte delle disavventure.
Ogni personaggio è completo nella sua psicologia, nel carattere e nell'espressività: ottimi attori e buoni ruoli da interpretare, la sintesi perfetta.
Toni Collette (da poco recensita in Jesus Henry Christ) nei panni di una mamma gentile, sposata con un uomo inizialmente fastidioso che però riesce a riscattarsi, è colei che cerca di tenere le redini di una famiglia potenzialmente allo sfascio ma che invece trova nell'unione del sangue, il motivo per risollevarsi. Paul Dano, che in Ruby Sparks è ormai uomo fatto, intellettuale nevrotico alla ricerca della donna perfetta, qui è un adolescente sognatore e problematico, spirito punk, ribelle e scontroso dall'animo sensibile.
La piccola Olive, invece, è la mascotte di famiglia, fuori dall'ordinario, adorata a dismisura dal nonno e con una consapevolezza disarmante. Fondamentalmente è lei il motore della faccenda: si va in California per farla partecipare ad un concorso di bellezza.

La colonna sonora frizzante e movimentata, segue il ritmo del film che, soprattutto nella parte centrale dello svolgimento, si fa frenetico e sempre più divertente.

Un bel cine-proposito estivo da riguardare, commovente.


Little Miss Sunshine: it premiered at Sundance Film Festival in 2006. It's a fabulous road movie about the adventures of a very funny family.
Ably written by Michael Arndt and signed by the brilliant couple Dayton-Faris, the film is the founder of a whole series of other works inspired by it and produced, among others, from the founding brothers of Big Beach Films: Marc Turtletaub and Peter Saraf.
The main theme is the journey, along with the personal struggle for a dream come true, the union and irony against mishaps. Each character is complete in its psychology, personality and expressiveness: good actors and good roles to play, the perfect synthesis.







venerdì 12 luglio 2013

Smashed

Un film di James Ponsoldt con Mary Elizabeth Winstead, Aaron Paul. USA, 2012

Lontano dalla rassicurante e divertente comfort zone della comedy indipendente, Smashed arriva dal Sundance 2012 ed è un dramma insolito ed emotivamente impegnativo, seconda opera di finzione del regista.

Il significato del titolo richiama il puro e totale fallimento. Perfetti losers, infatti, sono i due giovani protagonisti, sposi infelici, alcolizzati in crisi: una triste storia di dipendenza, di lotta e fallimento che inizia con dei naif e leggiadri titoli di testa in corsivo, bianchi e puri, fino a raggiungere l'apice ed essere investita da un'atmosfera quasi black pietrificante, nonostante l'assenza di un reale risvolto nero. Un senso di spaesamento simile a quello del film Sightseers, con personaggi altrettanto mediocri dagli stessi sguardi di ghiaccio.

Due protagonisti ben assortiti, Kate (Mary Elizabeth Winstead) e Charlie (Aaron Paul) , rappresentano al meglio quella malata sensazione di unione ed intimità che si prova nel condividere una dipendenza morbosa in cui crogiolarsi, fino a quando uno dei due decide di riprendere in mano i fragili fili di un'esistenza non troppo gratificante, provocando la rottura di tale malsano equilibrio.
Oltre al tema fondamentale della dipendenza e della debolezza dell'uomo, si approfondiscono tematiche secondarie da non sottovalutare quali la solidarietà (presente ed assente), l'egoismo di chi, vedendosi fallito, non può sopportare le conquiste dell'altro tentando in ogni modo di sabotarle e il disinteresse generale nei confronti di chi prova a cambiare, contro ogni aspettativa.

Oltre al personaggio della madre di lei molto stereotipato, le due figure maschili principali (il marito di lei e il vicepreside della scuola in cui fa la maestra) sono le maggiori fonti di inquietudine del film: sono uomini dallo sguardo gelido che infondono paura e insicurezza, trasudano una sgradevole sensazione d'imprevedibilità, sono contraddistinti da una recitazione molto cadenzata, quasi come una cantilena folle che entra in testa senza più perdere il ritmo, e fino all'ultimo momento non si è in grado di comprendere a pieno le loro intenzioni.
E' un clima spaventoso, dunque, quello in cui Kate trova la forza di riscattarsi e diventare l'eroina del racconto, con un risvolto dell'intera vicenda abbastanza scontato.
Ripreso quasi interamente con una camera a spalla che conferisce al film un look indie apprezzabile, è un film molto cupo, dalla fotografia luminosa ma dai toni freddi, che all'inizio fanno un po' paura e sembrano non promettere nulla di buono.

Un film che non esprime giudizi bensì racconta una storia che diventa quasi un diario di bordo e sobrietà commovente nonché psicologicamente violento.


Smashed: it premiered at Sundance Film Festival in 2012, and it focus on a very strong theme: alcoholism.
The two protagonists are a young couple obsessed by alchol and when the girl try to change her complicated situation, everything appears to be different. Thanks some friends she can change her life and become a sober person.
Filmed almost entirely with a hand-held camera that gives the film an appreciable indie look, it is a very dark film: with bright but cold colored photography.

A psychologically violent film that does not judge anything but tells a story about sobriety.

sabato 22 giugno 2013

Living in Oblivion - Si Gira A Manhattan

Un film di Tom Di Cillo con Stev Buscemi, Catherine Keener. USA, 1995.

Opera seconda scritta e diretta dal grande Tom Di Cillo, vincitrice di diversi premi, tra cui quello per la sceneggiatura al Sundance, è un vero gioiellino della cinematografia indipendente americana, quella della “scuola” Jim Jarmusch tanto per dire, per il quale Di Cillo stesso ha curato la fotografia di Coffee and Cigarettes .

Va in scena una troupe scapestrata alle prese con un film indipendente dopo il quale tutti giurano di ritirarsi. Una produzione low budget fatta di microfoni in campo, fuori fuoco, piani sequenza impossibili da girare ed esplosioni di lampade grottesche e divertenti.
Un'assistente alla regia isterica e una prima attrice calata in pieno nello stereotipo (?) della fragile starlette che vuole essere rassicurata: è questo lo scenario allarmante che si presenta davanti agli occhi increduli di un capo baracca strepitoso, Steve Buscemi, che interpreta il regista di Living in Oblivion, il film nel film.
Ma fino a che punto il film nel film è il vero film? Quando smette di essere un film reale e diventa il film in un sogno?

Solo un'ottima mente avrebbe potuto giocare d'azzardo e intrecciare piani di realtà tanto diversi ma al contempo uguali con cotanta abilità, senza parlare del sapiente uso del bianco e nero che (fino a prova contraria) è dedicato al film nel film, mentre la diegesi vera e propria è a colori. Caldi, saturi, dalla grana anni Novanta.

E non di meno può mancare l'amore, su un set (uno dei veri e propri luoghi più promiscui nel mondo del cinema), talvolta nascosto, non corrisposto o tradito, ma comunque presente in prima linea, sempre pronto a rovinare fragili e già labili equilibri interpersonali.

Un'autentica prova di regia per Di Cillo: un'opera autobiografica che nasce quasi per caso dopo i postumi da set di Johnny Suede e prima della lavorazione di Box of Moonlight, per esorcizzare un malessere diventato visionario capolavoro dall'estetica underground, realistico ritratto di un set indipendente allo sbaraglio animato da un divertente delirio di squadra.



lunedì 10 giugno 2013

Junebug

Un film di Phil Morrison con Amy Adams e Alessandro Nivola. USA, 2005.

E' passato dal Sundance e mi è ancora sconosciuto il motivo dell'ottimo successo che ha ottenuto tra i critici e sui maggiori siti cinematografici internazionali.

E' una dramedy scura e ansiosa, quasi spiazzante: racconta la storia di una giovane donna in carriera (interpretata dall'attrice Embeth Davidtz), proprietaria di una galleria d'arte a Chicago, in viaggio con il neo-marito (Alessandro Nivola) alla volta del North Carolina per conoscere un grande artista da esporre presso di lei.
Tappa necessaria, la casa di famiglia di lui, casualmente in zona e quindi da visitare. E' qui che la sparuta Madeleine viene inglobata in un vortice d'insana bizzarria che la porterà a non riconoscere più se stessa, ma soprattutto il suo fresco marito. Tra le grinfie di una famiglia poco accogliente, una cognata incinta, ingenuamente bambina ma sofferente, ed una suocera scostante e torva, il weekend trascorre e muore, cupo ed inospitale.

E' tra violenza psicologica, non detti e tristi scoperte che si snoda una trama un po' povera, abitata da personaggi deboli, rinchiusi in poco malleabili stereotipi che non riescono ad interagire al meglio tra di loro. Tre coppie, tre generazioni e tre amori silenziosi ed amari, ognuno con un piccolo neo da nascondere, immersi nello squallore di una famiglia disamorata, in cui non c'è più spazio per alcun sentimento gentile: un tema difficile quello della complessità dei rapporti umani, ma nonostante tutto, poco sviluppato.

Se tecnicamente è quasi impossibile trovare una volontà particolare dietro scelte registiche poco autoriali, in quanto a recitazione, spicca positivamente Amy Adams (già recensita in Sunshine Cleaning), sempre brava e capace di elevare il proprio personaggio oltre la mediocrità degli altri (in questo caso, primo tra tutti, il personaggio interpretato dall'abbastanza scarso Ryan di O.C., Benjamin McKenzie).

Un film poco raffinato, con evidenti errori, soprattutto di continuità, che non si lasciano perdonare (come succede spesso in altri film comunque deliziosi) dall'eccellenza di altre caratteristiche su cui concentrarsi.

Colonna sonora quasi inesistente fatta eccezione per un unico brano (ottimo) che apre e chiude il film, scritto dall'immenso Stevie Wonder: Harmour Love.

lunedì 27 maggio 2013

Restless

Un film di Gus Van Sant con Henry Hopper e Mia Wasikowska, USA-UK, 2010.

Doveva essere presentato al Sundance 2011, invece è finito sulla croisette, nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes: quattordicesima e penultima pellicola diretta da Gus Van Sant, conta due protagonisti d'eccezione e figli d'arte, Henry Hopper e Mia Wasikowska, splendidi insieme per dar vita ad una storia romantica e scura allo stesso tempo, da osservare con la loro stessa leggerezza.

Loro sono Enoch e Annabel, romantici inquieti, molto giovani e molto addolorati, si conoscono ad un funerale e finiscono a raccontarsi misteri e rancori all'ombra di piante solitarie, fiumi e binari di campagna nelle splendide location dell'Oregon.

Un gioco macabro che profuma di morte, musica e poesia, tra libri che parlano di uccelli e volatili acquatici che ogni mattina scoprono di essere vivi e vogliono cantare, un fantasma innamorato con una lettera in sospeso, mai inviata, ad un amore ormai lontano, tre mesi da vivere e giochi in scatola da consumare.

Un amore metafisico che parla della fine con l'ingenuità di chi si immagina un trapasso al gusto di milkshake, colorato e dolce, tanto da prepararselo accuratamente ed interpretarlo solennemente in una messa in scena perfetta e commovente.
Succede questo quando un tenero amore deve smettere di battere e volare alla volta di una strada segreta: i corpi fragili, per l'ultima volta, si misurano l'apertura alare in un abbraccio triste che non vuole schiudersi ed è fatta.

Gus Van Sant ancora una volta regala il suo sguardo malinconico e le sue inquadrature d'autore ad una trama profondamente delicata, basata su un'opera teatrale portata al cinema con assoluta ed immensa grazia.
L'innocenza dei protagonisti si riflette nei volti angelici e pensierosi di due ottimi attori che come in una danza macabra si accompagnano in un percorso di accettazione tanto impegnativo quanto necessario.
I temi della morte, della natura, dell'amore compongono una trilogia speciale che rende delicata e soprannaturale l'armonia che pervade l'intero film, nonostante la gravità ed il peso specifico della trama.

Annabel: "Io canto ogni mattina... da quando ti conosco"

Un piccolo gioiellino, come tante altre opere nella filmografia di Gus Van Sant, che spicca per la sua sua leggiadria e tiene alto, quasi per tutto il tempo, il livello d'umore e di stupore, senza rientrare nello squallore di quel discutibile genere patetico e facilmente commovente che da un po' di anni va di moda, il cancer movie. Solo cattivo gusto.

Bravo Hopper al suo esordio come attore in un lungometraggio e ottima scelta delle musiche!

giovedì 23 maggio 2013

Waiting for "Before Midnight"


E' stato presentato nei primi mesi del 2013 prima al Sundance, poi a Berlino e in ultimo a New York, al Tribeca film Festival: è il terzo film della storia d'amore diretta da Linklater nel corso degli ultimi vent'anni, interpretata da Julie Delpy e Ethan Hawke.

Céline e Jesse, parigina lei, americano lui, sono i protagonisti di un'intensa e tormentata storia che li vede trasformarsi da sprovveduti ventenni sconosciuti, poetici vagabondi persi nella notte accogliente di Vienna a parlare d'amore tra i parchi e le panchine di romantici vicoli storici, in trentenni a Parigi, un po' più disillusi, sentimentalmente impegnati ma ancora sensualmente attratti dagli sguardi e le parole di un'intimità quasi platonica mai completamente realizzata.

Dopo Before Sunrise e Before Sunset, Before Midnight è un'ansiosa cine-attesa: finito di girare a settembre scorso e (neanche a dirlo) senza una data d'uscita italiana, racconta un nuovo romantico incontro tra i due protagonisti ormai adulti, quarantenni maturi e risolti, questa volta, immersi nella natura degli straordinari peasaggi della Grecia.

I toni mediterranei che dal trailer si percepiscono, fanno pensare ad una rivoluzione nel cinema di Linklater, almeno per questo film: spariscono gli scorci caratteristici delle capitali europee, l'atmosfera metropolitana delle lunghe passeggiate attraverso la città, accompagnate da amorevoli dialoghi metafisici e filosofici, per prediligere, un tocco quasi più familiare, in linea con la crescita sia degli attori che dei loro personaggi.

Dopo Bernie, il regista continua la sua via indipendente verso un cinema diventato ormai riconoscibile grazie alla sua firma d'autore, che si è evoluto ma che negli intenti non è mai cambiato. Tanto amore.

venerdì 17 maggio 2013

The Romantics


Un film di Galt Niederhoffer con Katie Holmes e Adam Brody. USA, 2010.

Presentato al Sundance 2010, è la trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo scritto dalla regista americana Galt Niederhoffer.

La notte prima del matrimonio può essere un momento crudele per chi non è realmente convinto ad effettuare cotanta coraggiosa scelta di vita; ancora più tragica essa si rivela quando diventa partecipata e collettiva, all'interno di un film corale in cui un gruppo di amici, una vecchia compagnia da college riunitasi dopo anni, trascorre una serata fuori dagli schemi ripercorrendo vecchi ricordi, speranze andate a male, frustrazioni amorose e limitate prospettive future, in un clima goliardico che, in una sorta di catarsi collettiva, si veste d'evasione dalla vita reale. Sono loro i romantici.

Attori mutuati da telefilm adolescenziali, riportano alla memoria le scene romantiche dei sedicenni di Dowson's creek o i borghesi finti scapestrati di O.C, solo più vecchi e annoiati, nelle atmosfere cupe di uno scenario che vediamo quasi solo al buio: una nottata al mare d'amori e tradimenti che farebbe concorrenza alle coppie di Updike, altrettanto borghesi ed annoiate, sensualmente avide ed innamorate.

La quasi unità di spazio e tempo conferisce una speciale coesione al film che altrimenti, dati i molti personaggi, sarebbe risultato troppo dispersivo, ma la cupezza delle immagini, esteticamente poco studiate (sia scenograficamente che tecnicamente), con movimenti di macchina non narrativamente significativi, fanno di tale dramma, un quadro d'amore appiattito dai toni e dalla recitazione.
Katie Holmes, con una capacità interpretativa ed un'espressività mai progredite dai tempi della piccola Joey, dà del filo da torcere, in quanto ad incapacità comunicativa, al resto dei personaggi, poco approfonditi e relegati nei classici stereotipi da compagnia liceale in cui non mancano la brava ragazza, quella ricca e perfettina, la bad girl o l'eterna romantica...

Sdolcinato e un po' povero di contenuti, nel complesso The Romantics è apprezzabile per il tocco malinconico che in generale pervade l'intera opera: una malinconia che sconfina nello squallore di alcune amicizie mature che in qualche modo sopravvivono a se stesse anche affannando tra delusioni del tempo difficili da superare.

Neanche il momento del ballo, classico topos imperdibile in questo tipo di film, con i corpi che attraverso un'intima danza spirituale ritrovano gli equilibri perduti, riesce a rendere poetico un film che altrimenti, più tristemente, si potrebbe definire solo romanticamente decadente.

martedì 14 maggio 2013

Take This Waltz


Un film di Sarah Polley con Michelle Williams e Seth Rogen. Canada, 2011

Presentato al Toronto Film Festival 2011 ed al Tribeca Film Festival 2012, è l'opera seconda della regista canadese Sarah Polley, che dopo il suo primo film con cui ha gareggiato al Sundance 2007, torna alla regia con un'intensa romantic dramedy.

Michelle Williams è Margot, sposata da pochi anni con Lou (Seth Rogen), uomo un po' freddo e molto occupato dal proprio lavoro, con cui ama giocare fino a non più divertirsi, dimostrandogli un affetto strano, quasi malato, tramite discutibili frasi in codice giocosamente inquietanti. Un modo bizzarro di vivere in una coppia collaudata ma al contempo formata quasi da sconosciuti che provano a cercarsi e il più delle volte finiscono per perdersi.

Due personaggi molto complessi, che sono ritratti profondamente ed onestamente, approfonditamente descritti nelle loro paure e nella fragilità di chi sa parlare del proprio disagio e lo esorcizza senza vergogna. Margot è in conflitto con il suo essere libera ed in gabbia, amata ed amante: sentendosi in colpa e senza il coraggio di affrontare il bivio della vita, intrattiene un'amorevole amicizia complicata con il vicino Daniel, così come Lou, distratto dalle ricette di pollo e da una famiglia problematica, si accorge troppo tardi di una deriva che li porterà ad un epilogo infausto.

Un vero valore aggiunto del film, oltre alla sceneggiatura ben scritta, senza dialoghi superflui e con informazioni dosate che rivelano nei tempi giusti e gradualmente le storie dei protagonisti, sono sicuramente l'insieme di location e scenografie.
Un vero paradiso estetico si staglia davanti all'occhio di chi non solo osserva il film, ma ne viene rapito dai colori, quelli caldi, saturi e sensuali del quartiere portoghese di Toronto: una Little Portugal dai materiali e dagli oggetti tipici, con le facciate delle case sgargianti, le strade color pastello e gli affascinanti e profumati mercati dal sapore etnico.
Così come l'ottima ricerca delle location esterne ha sortito un risultato più che visivamente gratificante, anche lo studio degli interni e la consapevolezza scenografica con cui sono stati arredati rendono lo spazio in cui si muovono i protagonisti, quasi il terzo personaggio del film, se non si conta il vicino di casa amico pittore e portatore di risciò che rappresenta il classico elemento disturbatore di un idillio amoroso da rovesciare.
Strettamente correlati ed altrettanto convincenti i costumi: abiti fioriti e colorati in piena atmosfera esotica, regalano al film un'aura un po' latina, un po' mediterranea estremamente curata.
L'impostazione narrativa circolare fa in modo che inizio e fine coincidano in un unica sfornata di dolci amari, al ritmo di un tango poetico in una soffitta sfitta dal tocco parigino.

Oltre la componente visiva, si assiste ad una piacevole attenzione per il sonoro: giochi di rumori e suoni che si interrompono sottolineano i diversi punti di vista assunti dalla macchina da presa in luoghi differenti e tengono vivo il ritmo della storia portata avanti dalle microazioni dei personaggi seguiti da vicinissimo e quasi trapassati dall'obiettivo, come a volerli studiare e scoprire dall'interno, nella loro complessità.
La colonna sonora, tra brani classici e più indipendenti compone un quadro sonoro perfetto per accompagnare una storia amara che prova a rendersi divertente e non riuscendoci, finisce per morire dietro un vetro, osservando crescere muffin al mirtillo.

lunedì 6 maggio 2013

Like Crazy


Un film di Drake Doremus con Felicity Jones, Anton Yelchin. Usa, 2011.

Presentato al Sundance 2011 dove ha vinto il Gran Premio della giuria, ha fatto la sua apparizione anche in Italia, fuori concorso, al Festival Internazionale del Film di Roma.

Per la regia del trentenne Drake Doremus, è un piccolo film indipendente che racconta la commovente storia d'amore tra Anna e Jacob, divisi tra Londra e Los Angeles ed intenti a non lasciarsi andare, perduti nella loro lontananza.
Inizia con un atto coraggioso da parte di lei la storia ed il film stesso, che continuano grazie all'audacia degli amanti che non vogliono perdersi, fingendo il meglio per non farsi soffrire, fino ad esplodere e non sentirsi più padroni della propria vita.
Con una storia semplice e senza pretese si indagano i danni che la mancanza e la distanza possono, impercettibilmente, creare nella vita non solo di una coppia ma anche di chi intorno ad essa inevitabilmente gravita, e si riscopre il valore della pazienza, tema portante del film, inciso nei cuori e su metallo.
La macchina da presa a mano segue i personaggi nelle loro passeggiate, negli arrivi o nelle partenze, senza paura di sbavature o movimenti indesiderati, stando loro, talvolta, così addosso da aver l'impressione, almeno inizialmente, di poterli comodamente spiare, ascoltandone di nascosto le conversazioni intime e sussurrate come a soddisfare un'innocente e hitchcockiana necessità voyeuristica.
Due personaggi che lo spettatore, dunque, almeno inizialmente percepisce come estranei, ancor più durante il quasi-piano sequenza di loro di spalle che camminano e parlano senza mai rivolgersi a favore di camera, ma ai quali gradualmente si avvicina cominciando a provare profonda empatia.
Senza dubbio ammirevole l'improvvisazione quasi totale dei dialoghi, la cui forza drammatica non indifferente, espressa da silenzi e turbamenti che non necessitano mai di troppe parole, ben presto si fa largo a discapito di una spensieratezza che chi guarda continua a sognare per i suoi due protagonisti, fino al poetico epilogo d'amore tanto aperto quanto intriso di dolorosa speranza.

Come a voler dichiarare una consapevolezza d'autore, il montaggio brusco dell'incipit ricorda i tagli alla Lars von Trier di Dogville, percepibili e significativi nella loro grande potenza narrativa.
Uno stile piacevolmente sporco accentua l'intimità di una storia per immagini simile ad un filmato amatoriale, come fossero i protagonisti stessi a riprendere la nascita del proprio amore e documentarne le tappe più tenere. Una scelta registica che punta alla semplicità e alla spontaneità senza però scadere nell'approssimazione tecnica: un gioiellino low budget curato, dunque, girato in digitale (con la famosa Canon EOS 7D) e volutamente naif che investe tutto il suo potenziale nel sentimento.
La soundtrack quasi assente, provoca un disorientamento sonoro straniante, mentre dalla metà del film si inizia a godere d'un accompagnamento musicale che scivola sotto le immagini senza invadenza, ponendo fine a quell'effetto singolare di silenzio iperreale quasi assordante che sa troppo di verità.
Nel complesso, un amorevole film che parte con uno stile ben determinato per trasformarsi, evolversi e maturare insieme ai suoi personaggi sia narrativamente che tecnicamente.