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mercoledì 1 gennaio 2014

My Blueberry Nights

“Il mio gettone sarebbe la tua torta di mirtilli”

Nominato per la Palma d’Oro 2007 a Cannes, il capolavoro di Wong Kar Wai, nonché primo film americano del regista, è una di quelle opere belle che rendono tutto più armonioso, onesto e sognante. Un gioiello dall’involucro e dal contenuto perfettamente in simbiosi.

Una lunga corrispondenza romantica, attraverso l’America, si incrocia a storie, personaggi e vite vere, tragicamente reali, malinconiche e delicate. Destini difficili e disillusi che si incontrano per respirarsi, assaggiarsi e poi lasciarsi.
La poesia dei personaggi invade le loro intenzioni, le esitazioni e i piccoli atti di coraggio che producono le grandi cose. New York – Memphis – Las Vegas, e l’atmosfera nostalgica dei locali notturni avvolti dalle loro luci suffuse, molteplici solitudini e musiche blues.

La colonna sonora, grande star e dolce compagna di ogni protagonista, è firmata tra gli altri da Norah Jones, protagonista del film, al suo debutto sul grande schermo e Cat Power, già autrice di molte colonne sonore (Io sono qui, Juno, L’amore Giovane…) e presente nel film in una piccola parte.
Le ottime interpretazioni si risolvono attraverso le voci, i volti e i corpi di protagonisti inquieti a cui parlano gli occhi, che si accarezzano vicendevolmente senza farsi male. Jude Law interpreta il gestore di un intimo ristorante di New York, guardiano di un’ampolla di storie, chiavi e torte mai mangiate. Arnie, il personaggio più interessante, è interpretato da David Strathairn, nei panni del re dei gettoni bianchi, disperato innamorato, piaga dolorante e confidente speciale di Elizabeth. Poi Natalie Portman, Rachel Weisz.

Le belle scenografie e la sceneggiatura leggera e scarna, riempiono le immagini completandole e donando loro un sapore sensuale. Movimenti di macchina come musica attraverso vetrate colorate dal buio che risiede in fondo alla speranza.

lunedì 10 giugno 2013

Junebug

Un film di Phil Morrison con Amy Adams e Alessandro Nivola. USA, 2005.

E' passato dal Sundance e mi è ancora sconosciuto il motivo dell'ottimo successo che ha ottenuto tra i critici e sui maggiori siti cinematografici internazionali.

E' una dramedy scura e ansiosa, quasi spiazzante: racconta la storia di una giovane donna in carriera (interpretata dall'attrice Embeth Davidtz), proprietaria di una galleria d'arte a Chicago, in viaggio con il neo-marito (Alessandro Nivola) alla volta del North Carolina per conoscere un grande artista da esporre presso di lei.
Tappa necessaria, la casa di famiglia di lui, casualmente in zona e quindi da visitare. E' qui che la sparuta Madeleine viene inglobata in un vortice d'insana bizzarria che la porterà a non riconoscere più se stessa, ma soprattutto il suo fresco marito. Tra le grinfie di una famiglia poco accogliente, una cognata incinta, ingenuamente bambina ma sofferente, ed una suocera scostante e torva, il weekend trascorre e muore, cupo ed inospitale.

E' tra violenza psicologica, non detti e tristi scoperte che si snoda una trama un po' povera, abitata da personaggi deboli, rinchiusi in poco malleabili stereotipi che non riescono ad interagire al meglio tra di loro. Tre coppie, tre generazioni e tre amori silenziosi ed amari, ognuno con un piccolo neo da nascondere, immersi nello squallore di una famiglia disamorata, in cui non c'è più spazio per alcun sentimento gentile: un tema difficile quello della complessità dei rapporti umani, ma nonostante tutto, poco sviluppato.

Se tecnicamente è quasi impossibile trovare una volontà particolare dietro scelte registiche poco autoriali, in quanto a recitazione, spicca positivamente Amy Adams (già recensita in Sunshine Cleaning), sempre brava e capace di elevare il proprio personaggio oltre la mediocrità degli altri (in questo caso, primo tra tutti, il personaggio interpretato dall'abbastanza scarso Ryan di O.C., Benjamin McKenzie).

Un film poco raffinato, con evidenti errori, soprattutto di continuità, che non si lasciano perdonare (come succede spesso in altri film comunque deliziosi) dall'eccellenza di altre caratteristiche su cui concentrarsi.

Colonna sonora quasi inesistente fatta eccezione per un unico brano (ottimo) che apre e chiude il film, scritto dall'immenso Stevie Wonder: Harmour Love.

lunedì 27 maggio 2013

Restless

Un film di Gus Van Sant con Henry Hopper e Mia Wasikowska, USA-UK, 2010.

Doveva essere presentato al Sundance 2011, invece è finito sulla croisette, nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes: quattordicesima e penultima pellicola diretta da Gus Van Sant, conta due protagonisti d'eccezione e figli d'arte, Henry Hopper e Mia Wasikowska, splendidi insieme per dar vita ad una storia romantica e scura allo stesso tempo, da osservare con la loro stessa leggerezza.

Loro sono Enoch e Annabel, romantici inquieti, molto giovani e molto addolorati, si conoscono ad un funerale e finiscono a raccontarsi misteri e rancori all'ombra di piante solitarie, fiumi e binari di campagna nelle splendide location dell'Oregon.

Un gioco macabro che profuma di morte, musica e poesia, tra libri che parlano di uccelli e volatili acquatici che ogni mattina scoprono di essere vivi e vogliono cantare, un fantasma innamorato con una lettera in sospeso, mai inviata, ad un amore ormai lontano, tre mesi da vivere e giochi in scatola da consumare.

Un amore metafisico che parla della fine con l'ingenuità di chi si immagina un trapasso al gusto di milkshake, colorato e dolce, tanto da prepararselo accuratamente ed interpretarlo solennemente in una messa in scena perfetta e commovente.
Succede questo quando un tenero amore deve smettere di battere e volare alla volta di una strada segreta: i corpi fragili, per l'ultima volta, si misurano l'apertura alare in un abbraccio triste che non vuole schiudersi ed è fatta.

Gus Van Sant ancora una volta regala il suo sguardo malinconico e le sue inquadrature d'autore ad una trama profondamente delicata, basata su un'opera teatrale portata al cinema con assoluta ed immensa grazia.
L'innocenza dei protagonisti si riflette nei volti angelici e pensierosi di due ottimi attori che come in una danza macabra si accompagnano in un percorso di accettazione tanto impegnativo quanto necessario.
I temi della morte, della natura, dell'amore compongono una trilogia speciale che rende delicata e soprannaturale l'armonia che pervade l'intero film, nonostante la gravità ed il peso specifico della trama.

Annabel: "Io canto ogni mattina... da quando ti conosco"

Un piccolo gioiellino, come tante altre opere nella filmografia di Gus Van Sant, che spicca per la sua sua leggiadria e tiene alto, quasi per tutto il tempo, il livello d'umore e di stupore, senza rientrare nello squallore di quel discutibile genere patetico e facilmente commovente che da un po' di anni va di moda, il cancer movie. Solo cattivo gusto.

Bravo Hopper al suo esordio come attore in un lungometraggio e ottima scelta delle musiche!

domenica 19 maggio 2013

Broken Flowers


Un film di Jim Jarmusch con Bill Murray, July Delpy. USA 2005

Ha vinto il premio speciale della giuria al Festival di Cannes del 2005 ed in origine avrebbe dovuto chiamarsi “Dead Flowers”.

Inchiostro rosso su carta da lettera rosa e un picchio impresso sul francobollo: una macchina da scrivere fantasma ed un figlio segreto da una donna senza firma.
Una lista di amanti ed un Don Giovanni invecchiato costretto a fare i conti con il proprio passato.
Sono questi gli ingredienti di un film stupendo che solo il genio di Jim Jarmusch avrebbe potuto rendere così leggero e malinconico come una canzone in auto che finendo lascia le sue parole nell'aria nonostante il silenzio di chi dalla vita non vuole più aspettarsi grandi stravolgimenti.

Cinque tappe attraverso il proprio passato ed il nuovo presente di donne talvolta distrutte, anime nuove con una vita troppo diversa da come se la sarebbero immaginata ai tempi dell'amore.
Location perfette, perlopiù tutte in caratteristiche cittadine nello stato di New York, rappresentano la più adatta scorrevole visione dietro ad un finestrino, per un road movie sotto note etiopi che “fan bene al cuore”, dall'aria decadente che pur non discostandosi dalla civiltà, trova i luoghi migliori e più silenziosi o desolati in cui far sosta e portare avanti la bizzarra ed intrigante queste dell'anima di cui si nutre.

Gli anni migliori di Bill Murray che tra questo film e Lost in Traslation, a partire dagli anni Duemila ha dato vita ai suoi personaggi più affascinanti, eroi romantici e silenziosi, ironici e buffi, corpi galleggianti tra l'inettitudine e l'alienazione. Personaggi scelti con sapienza ed inebriati dalla poesia di una recitazione personale ed introspettiva: da I Tenenbaum a Moonrise Kingdom passando per Il treno per Darjeeling: tutti capolavori.
Seconda volta con Jim Jarmusch dopo Coffee and Cigarettes: una collaborazione perfetta che in Broken Flowers diventa ancor più matura e narrativamente strutturata, dando vita ad un'opera completa, dalla trama misteriosamente poetica ma dallo stile meno ermetico del solito, grazie ad una linearità, vero dono per il film, che a fare strani paragoni, sarebbe tanto insolita quanto azzeccata come quella di Una storia vera di David Lynch.
Fantastica apparizione iniziale di Juliy Delpy, quasi un cammeo che però rappresenta forse il motore dell'intera storia.

Un misto tra riprese dall'alto e dettagliate alla Wes Anderson e la cupa coralità dell'America Oggi di Altman.

Una bella riflessione non immediata, una storia non scontata e ben recitata, di quelle a cui si ripensa continuamente cercando di trovare risposte impossibili.
Una sceneggiatura scritta magistralmente:

Don: Che fai più tardi, beviamo qualcosa?
Carmen: Ehm... No, non bevo.
Don: Magari mangiamo qualcosa.
Carmen: Io non... mangio.
Don: Non mangi. Ehm, facciamo due passi... Non puoi dire che non cammini.
Carmen: Non ne ho tanta voglia.
Don: Ce l'hai una macchina da scrivere?
Carmen: Una macchina da scrivere?
Don: Sei sposata?
Carmen: Sai, forse adesso è proprio il caso che tu vada.


Un viaggiare vorticoso, tanti sguardi ed indizi senza tempo: poche certezze ed un ultimo giro di camera intorno a Don e alla sua solitudine, per ricordarci che, “il passato è passato, il futuro non è ancora futuro... tutto ciò che conta è nel presente”.

giovedì 2 maggio 2013

Sightseers


Un film di Ben Wheatley con Alice Lowe, Steve Oram. UK, 2012.

E' stato presentato allo scorso Festival di Cannes ed è una black comedy spiazzante: terza opera indipendente del regista, è stata scritta, oltre che da Amy Jump, dagli stessi due protagonisti Alice Lowe e Steve Oram. Quando un road movie si veste di nero.


Chris e Tina: una giovane coppia appena nata alle prese con i preparativi per la loro prima settimana di vacanza insieme in roulotte. Ed è tra l'imbarazzo genuino e l'entusiasmo di un amore nuovo, che inizia il viaggio che li condurrà alla più totale perdizione morale.

Un incipit da tradizionale road movie di coppia tra le campagne inglesi, con un'atmosfera rilassata che, ben presto, si incrina inesorabilmente in un concatenarsi d'eventi inarrestabili davanti a cui gli spettatori (ma anche i personaggi stessi) inermi, non trovano valide spiegazioni rimanendo pietrificati, prede del più spaesato e gelido sbigottimento.
Il vortice mortifero della follia investe ogni personaggio con una leggerezza e freddezza tali da soft-splatter.

Le ambientazioni suggestive, i paesaggi rosati e le british vallate sconfinate conferiscono un tocco romantico al film, grazie anche ad una fotografia perfettamente studiata ed aiutata senza dubbio dai morbidi cieli plumbei d'Inghilterra, vero dono speciale per ogni operatore che si rispetti.
Ottime anche le scenografie d'interno riguardanti la roulotte: il nido dei due personaggi, cuore del film e unico luogo sicuro per la loro insana storia d'amore che fin dal principio è destinata a precipitare senza possibilità di riscatto.
Un'estetica romantica, dunque, rende ancor più straniante il contrasto con la trama inquietante e misteriosa, musicata da una colonna sonora d'autore alternata ad uno spartito di suoni e rumori spaventosi.
Molto iconiche alcune inquadrature non convenzionali “alla Wes Anderson” dall'alto o dal basso di particolari, dettagli o personaggi o ancora gli sguardi in macchina da nouvelle vague.

Una commedia particolare, dunque, che racchiude in sé diversi altri generi cinematografici in un connubio ben coeso, senza che nessuno di essi prevalga, anzi mantenendo sempre alto il livello sia di suspense, che, soprattutto, d'ironia fredda e grottesca.
Una visione brutale e divertente che fa della frustrazione un'arma deleteria contro il mondo e le piccole cose/persone che lo abitano. Emblematico lo sguardo del personaggio di Alice Lowe che per tutto il film, attonita come lo spettatore, non crede a ciò che vede.

venerdì 19 aprile 2013

Waiting for "La Grande Bellezza"


Non si parla di cinema indipendente in senso stretto ma di certo anche Paolo Sorrentino merita un post(o) tra i miei blueberrymovie preferiti.
La presunta notizia (già da settimane data quasi per certa) della partecipazione del regista al prossimo Festival di Cannes è diventata certezza: “La Grande Bellezza” concorrerà ufficialmente per la Palma d'oro internazionale.

Non è ovviamente la prima volta a Cannes per Sorrentino, ormai avvezzo a concorrere in festival di tutto rispetto e questa volta lo fa con un film del quale si sa pochissimo ma di cui possiamo saggiare le atmosfere e le suggestioni più poetiche nel teaser nonché nel trailer ufficiale rilasciato ieri.


Ancora una volta Toni Servillo, al servizio del maestro napoletano e suo attore feticcio (alla stregua di Sean Penn) delizierà gli appassionati con un'interpretazione che già dal trailer si preannucia strepitosa. Attore camaleontico e trasformista, ne “La Grande Bellezza” interpreterà un giornalista affascinante immerso in una città dal surreale e perché no, talvolta grottesco, fascino italiano: Roma.

Dopo This Must Be The Place, dunque, col quale Sorrentino era passato, oltre che a Cannes, anche dal Sundance Film Festival, si assiste ad un ritorno in patria che sembra comunque conservare una certa universalità, così da rendere il film stesso esportabile internazionalmente.

I miei tre buoni motivi per non perderlo:

L'accoppiata Sorrentino-Servillo funziona e non si cambia, da L'uomo in più a Il Divo passando per Le Conseguenze dell'Amore, è una garanzia.

La colonna sonora: ancora nulla si sa della soundtrack ma stando ai precedenti capolavori, ogni cosa farebbe sperare per il meglio.

La poesia dell'immagine: l'estetica cinematografica di Sorrentino, la migliore di tutti i tempi.