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martedì 21 giugno 2016

Lolo | La commedia sofisticata di Julie Delpy




Donne quarantenni: single in vacanza, manager in città. E quando la conquista del weekend diventa qualcosa di più? Guardate LOLO!


Siamo in un film di e con Julie Delpy (Violette), certo sempre gradevole grazie alla sua presenza e al suo tocco riconoscibile, ma comunque un po’ stiracchiato. 
Un omaggio alla commedia sofisticata degli anni 30-40. 


La cosiddetta commedia degli equivoci, arricchita di gag, citazioni (un occhiolino alla cinematografia nostrana e a The dreamers di Bertolucci) e vecchie musiche da film. 


E di sophisticated comedy qui ce n’è parecchia: ci sono gli esponenti della borghesia, ci sono le differenze tra diverse classi sociali, ci sono dialoghi brillanti (la specialità della Delpy, con battute che richiamano l’umorismo Alleniano) e infine le continue gag che in questo caso purtroppo diventano addirittura eccessive. 


I tre personaggi principali sono molto forti a discapito dei secondari, nonostante sia proprio uno di questi ultimi ad avere il ruolo di deus ex machina, di potenza salvifica che tutto arrangia e tutto svela, anche quell’arcano che la Delpy tira un po’ troppo per le lunghe. 


Stile vintage e tono contemporaneo per ciò che concerne dialoghi e tematiche, tra le quali figurano il complesso di Edipo, il bullismo, l’happening artistico e il topos della donna quarantenne artistoide, nevrotica e irrimediabilmente single, da sempre riproposto con successo dall'autrice.



Per chi si diverte a trovare riferimenti cinematografici e culturali nei film (così come ovunque)...altra citazione nella locandina/titolo.

Se stai pensando alla Lolita di Kubrick non sei per niente fuori tema ;)



Approfondisci la carriera di Julie Delpy QUI e QUI

lunedì 4 marzo 2013

2 Days in New York

Un film di Julie Delpy con Julie Delpy, Chris Rock. Francia, Germania, 2012

E' stata presentata al Sundance 2012 e non ha ancora una data d'uscita in Italia: una nuova vibrante e brillante commedia politicamente scorretta diretta dall'attrice regista francese Delpy, naturalizzata americana, che dona al film quella giusta aura poetica europea unita alla comicità esilarante della comedy d'oltreoceano.

Sono passati cinque anni, è tornata a New York, ha un figlio ed un nuovo fidanzato. L'ombroso e paranoico Jack con cui sembrava si fosse riconciliata alla fine di "2 Days in Paris" è uscito di scena, così come le lunghe passeggiate di chiacchiere dai colori europei e i discorsi su quel nulla divertente e satirico che avevano divertito tanto il pubblico francese (fatta eccezione per qualche critico d'estrema destra che aveva definito il film ancor peggiore di Borat).
Un sequel coraggioso che non si trascina dal primo film solo per piacere bensì si ricrea facendo rivivere  al microcosmo di personaggi già conosciuti, ma profondamente cambiati, o comunque estremizzati ognuno nella loro principale peculiarità caratteriale, una nuova avventura politically scorrect. 

C'è una novità però, ed è il nuovo uomo di Marion, Mingus: divertente hipster afro-americano con un nome dalla facile e volgare rima che cognata e fidanzato non mancheranno di ricordare, lavora in radio, scrive per The Voice e si trova a dover eroicamente fronteggiare la famiglia di lei in visita per due giorni. Una famiglia eccentrica e confusionaria che inevitabilmente porterà scompiglio all'interno dell'idilliaco equilibrio della loro casa in cui, mai soli, vivono anche i due rispettivi pargoletti nati da precedenti tormentate relazioni.

Lei è diventata una mamma zen completamente cambiata rispetto agli agitati discorsi amorosi sulla Senna del film precedente, con un figlio cui badare e condomini agguerriti a cui, per quieto vivere, spudoratamente mentire. Ed il santo uomo che la affianca, dalle espressioni da macchietta, ironicamente e volontariamente estraniato da un contesto così grottesco nel quale viene trascinato, sembra essere l'unica persona razionalmente sana in grado di mantenere le fila di una famiglia tanto sgangherata, fatta da un padre (il vero padre della regista) ninfomane e dalle abitudini poco ortodosse e una sorella fidanzata ma avvezza al flirt facile, tutti impegnati a mettersi nei guai cogliendo l'occasione di una due giorni fuori porta lontana dalle responsabilità (?) della vita quotidiana.

Anche a New York i giochi di parole e la comedy degli equivoci trovano la loro più piena espressione grazie alla sceneggiatura bilingue che scoppia quando le lingue si incontrano e scontrano creando non pochi spassosi siparietti.
Un nuovo piccolo gioiellino diretto dalla Delpy che ancora una volta gioca sul contrasto culturale e sui cliché, sfatandoli o esagerandoli, immersa nella frenesia delle relazioni trans-culturali in cui non tanto la diversità bensì la bizzarra follia (che non ha paese), la fa da padrone.

domenica 3 marzo 2013

2 Days in Paris


Un film di July Delpy con Julie Delpy, Adam Goldberg. Francia, Germania, 2007.

Lei è una splendida donna indipendente ed emancipata dai tanti amanti passati che ritornano in discorsi verbosi e coinvolgenti come quei film chiacchieroni di Linklater di cui lei stessa è protagonista.

Pare che in Francia si faccia così, a detta della bionda ed intellettuale Marion (Julie Delpy): si hanno rapporti non meglio identificati con poeti affascinanti scrittori, e subito dopo si rimane amici, come a non osar rompere l'attraente tensione sensuale tra le anime di cui si nutre il mondo.
Parla di filosofia ed arte con il suo attuale e paranoico fidanzato americano Jack, un po' Kerouac un po' Nicholson, non esente, anche lui, dalla nevrosi metropolitana: scongiurando tragici attacchi terroristici e provando a non pensare al passato vivace della compagna, fa sfoggio di curiose psicomanie anch'esse perdute nei solari quartieri bohémien di Parigi ed impazienti di ritrovare la loro malsana regolarità in una New York più sicura.
Lui le scatta foto nel mezzo di affascinanti ed antichi set cinematografici d'essai in cui lei gioca a fare Marlon Brando, passeggiano discorrendo amabilmente sui massimi sistemi mentre nel fast food in cui Jack spera di trovare ristoro “una fatina gay scesa dal cielo come un vegetariano schizofrenico” dà fuoco al locale.
Due giorni impegnativi per un americano in crisi a Parigi e mentre a casa lui non sa decidere quali occhiali lo faranno assomigliare di più a Godard, lei vuole fare l'amore.
Un film che è una passeggiata divertente ed illuminante attraverso una città protagonista che tenta di distruggere i suoi sprovveduti avventori nonché le loro relazioni sessualmente spregiudicate e costellate di buone intenzioni.
Le relazioni complicate sono la materia più interessante per romantiche commedie di dialogo dal risvolto anche cupo che reca in sé i dolori degli amanti che tanto si vogliono quanto si respingono.
Ed è nell'ultima scena che è racchiuso il segreto del cuore: nell'ultimo ciak, come un ultimo tango, si consumano le storie d'amore che un'ora son folli e subito dopo son nulla.

Julie Delpy, autrice, regista ed interprete del film, impone il suo sguardo sul mondo così innocente e incantevole che i suoi personaggi, quasi autobiograficamente inventati, diventano una proiezione di lei raccolta in riflessione, al fianco di uomini sempre più irrisolti, fragili ed innamorati.
Un cinema ispirato ai grandi maestri della commedia più delicata, dalla finezza sopraffina tra cui, oltre a Woody Allen, spicca l'Eric Rohmer delle quattro stagioni, autore francese tra i massimi esponenti della Nouvelle vague di cui, per tutta la carriera, è rimasto fedele cantore. Tra l'estrema comicità dell'uno e il dramma, la profondità esistenziale dell'altro, la Delpy si pone nel virtuoso mezzo in cui sapientemente mixa al punto giusto umorismo e sarcasmo con ironica sensibilità, tra la tagliente satira socio-politica e l'indagine sui clichè francesi ed americani.
La sua voce narrante e le riprese movimentate e i pochi tagli nei dialoghi danno un ritmo inconfondibile alla storia che, se molti hanno paragonato alla saga di Linklater, Julie Delpy precisa: “...è più una commedia, sono due stili cinematografici diversi: Prima dell'alba e Prima del Tramonto sono due film romantici”.
Ancora una volta un'attrice straordinaria (imperdibili le sue interpretazioni nei Tre colori Film blu, Film Bianco, Film Rosso di Kieslowski ed in generale tutta la sua carriera d'autore) dimostra un talento registico da sostenere con forza e che ci conduce all'attesissimo sequel presto in recensione.

giovedì 28 febbraio 2013

Paris-Manhattan

Un film di Sophie Lellouche con Alice Taglioni, Partick Bruel. Francia, 2012

C'è la colonna sonora jazzeggiante, ci sono le lunghe panoramiche d'interno sui titoli di testa, le aspirine, vecchi dischi, libri, boule de neige e poi c'è lei: Paris. E Manhattan.
Non siamo in uno dei più romantici film di Woody Allen ma in quello che nelle intenzioni, e probabilmente anche nei risultati, è un grande omaggio al genio americano per mano della giovane Sophie Lellouche al suo esordio cinematografico.
Una vera e propria ossessione per Woody Allen è quella della protagonista Alice (non a caso) che, come Woody faceva con Bogart, intraprende per tutto il film amabili chiacchierate immaginarie col regista discorrendo a proposito d'amore, vita ed altri disastri. Oscurata dalla sorella appariscente dedita al pilates, “quella nuova versione di yoga in salsa kamasutra”, Alice è destinata alla sfiga perenne, condanna tipica di ogni donna bella ed intelligente con un qualche tipo di velleità artistica: farmacista cinefila lavora nel negozio di famiglia consigliando ad avventori incuriositi, film guaritori dall'effetto miracoloso adatti ad ogni tipo di male possibile.
Al noioso party altolocato poi arriva lui, bello e brillante che non ha mai visto un film di Woody Allen: Patrick Bruel, già visto recentemente in “Le prénom” (Cena tra amici) di de La Patellière e Delaporte e che in questo film confeziona allarmi al cloroformio capaci di stendere in trenta secondi ogni ladro malintenzionato, che una donna che lavora e vive sola, si sa, delle precauzioni dovrà pur prenderle.
Dopo aver letto la sceneggiatura, lo stesso Woody Allen ha accettato di comparire in un piccolo cameo sul finale del film, rendendo un leggero racconto francese, un esordio di tutto rispetto, poco paragonabile alle pellicole del maestro ma indipendentemente autonomo in sé, nonostante il perpetuo richiamo ad un cinema altro che, pur essendo continuamente presente, non invade un modo di fare cinema personale ed un po' francese, come quello della regista Lellouche.