C'è
la colonna sonora jazzeggiante, ci sono le lunghe panoramiche
d'interno sui titoli di testa, le aspirine, vecchi dischi, libri,
boule de neige e poi c'è lei: Paris. E Manhattan.
Non siamo in uno dei più romantici film di Woody Allen ma in quello che nelle intenzioni, e probabilmente anche nei risultati, è un grande omaggio al genio americano per mano della giovane Sophie Lellouche al suo esordio cinematografico.
Non siamo in uno dei più romantici film di Woody Allen ma in quello che nelle intenzioni, e probabilmente anche nei risultati, è un grande omaggio al genio americano per mano della giovane Sophie Lellouche al suo esordio cinematografico.
Una
vera e propria ossessione per Woody Allen è quella della
protagonista Alice (non a caso) che, come Woody faceva con Bogart,
intraprende per tutto il film amabili chiacchierate immaginarie col
regista discorrendo a proposito d'amore, vita ed altri disastri.
Oscurata dalla sorella appariscente dedita al pilates, “quella
nuova versione di yoga in salsa kamasutra”, Alice è destinata alla
sfiga perenne, condanna tipica di ogni donna bella ed intelligente
con un qualche tipo di velleità artistica: farmacista cinefila
lavora nel negozio di famiglia consigliando ad avventori incuriositi,
film guaritori dall'effetto miracoloso adatti ad ogni tipo di male
possibile.
Al
noioso party altolocato poi arriva lui, bello e brillante che non ha
mai visto un film di Woody Allen: Patrick Bruel, già visto
recentemente in “Le prénom” (Cena tra amici) di de La Patellière
e Delaporte e che in questo film confeziona allarmi al cloroformio
capaci di stendere in trenta secondi ogni ladro malintenzionato, che
una donna che lavora e vive sola, si sa, delle precauzioni dovrà pur
prenderle.
Dopo
aver letto la sceneggiatura, lo stesso Woody Allen ha accettato di
comparire in un piccolo cameo sul finale del film, rendendo un
leggero racconto francese, un esordio di tutto rispetto, poco
paragonabile alle pellicole del maestro ma indipendentemente autonomo
in sé, nonostante il perpetuo richiamo ad un cinema altro che, pur
essendo continuamente presente, non invade un modo di fare cinema
personale ed un po' francese, come quello della regista Lellouche.
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