Arriva
dai Paesi Bassi un cortometraggio che colpisce dritto al cuore, firmato Bram Schouw.
Un
dramma magnifico girato in 16 mm e bagnato da un ultimo pianto liberatorio prima di voltare pagina,
in ricordo di una vita precedente. Un omaggio a ciò che c'era e che
fin dalle prime scene si intuisce che non c'è più. Un doppio road
movie che rappresenta lo stesso viaggio fatto dagli stessi
protagonisti due volte, e che scivola presto in un montaggio
alternato dell'anima, fatto di ricordi e sorrisi amari.
Un
Jules et Jim contemporaneo, che dalla magia della nouvelle vague di
truffautiana memoria riprende lo stile sgangherato, la macchina a
mano, le riprese ballerine e il romanticismo talvolta ambiguo ma
sempre poetico di tre personaggi in viaggio; un viaggio
verso se stessi, verso la scoperta, verso crèpes allo zucchero e
foreste da correre.
Un'allusione
alla Francia e al suo cinema ancora più diretta verso la fine,
quando i protagonisti iniziano a parlare francese, l'atmosfera si fa
tragica e quasi si percepisce il bianco e nero di quei film retrò mai dimenticati. E sembra
di sentirli ridere in lontananza quei tre innamorati di Parigi che si
rincorrono spensierati creando scompiglio. Farfalle nella testa,
fiori e pugni nello stomaco.
E
la malinconia delle sagome disegnate sui muri si scioglie sotto le
note perlacee della struggente Nantes dei Beirut che raffredda gli
amori e annuncia presagi.
Ritornano il topos del ballo, il cinema indipendente e le immense citazioni che fanno sempre stare bene.
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