Cosa succede quando l’insicurezza
e la timidezza impediscono il giusto avvicendarsi delle cose, la naturale
evoluzione delle storie?
Lei, lui e una panchina in pausa
pranzo: è tanto tempo che si incontrano, si vedono, ma non si parlano. Lui
conosce i suoi gusti in fatto di zuppe, lei in fatto di scarpe. Si piacciono in
silenzio, temendo di non essere al meglio, non aver lavato bene i capelli o essere
goffi.
Una storia d’amore in potenza che
troppo spesso rimane un sogno ad occhi aperti, nell’attesa che chissà, l’indomani,
qualcosa possa cambiare, gli sguardi possano incrociarsi e finalmente vestir di
certezze i vaghi pensieri fatti timori e insicurezze.
Campi e controcampi semplici,
riprese frontali e una soggettiva iniziale molto espressiva rendono questo
corto di Danny Sangra, uno studio antropologico di due minuti e mezzo, universale e alla fine
anche divertente, con un gioco di stereotipi che funziona e fa sorridere.
Un pezzo jazz, il più insicuro
dei generi musicali, accompagna questa pausa pranzo tormentata e mai parlata:
una particolarità unica che sembra strizzare l’occhio al vecchio cinema che
rivive nel contemporaneo. Un cinema che è un po’ come se fosse il terzo
personaggio del corto, un elemento fondamentale per capire e vivere il mondo anche
se è già fin troppo evidente e i personaggi lo sanno: la vita non è un film.
Lo stile del regista in generale è originale: anche nel resto della sua fornita filmografia che conta ormai numerosi cortometraggi, si nota un estremo buongusto, un occhio speciale nei confronti dei bei colori, delle belle inquadrature e delle belle storie, scritte bene, con un tocco sempre sempre un po' fuori dall'ordinario.
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