Sorvolando
sull'allusivo titolo italiano comunque piacevole nella sua
musicalità, The Go-Getter è un road movie indipendente
presentato per la prima volta nel 2007 al Sundance Film Festival.
Eugene,
Oregon. Due voci over parlano al telefono: “L'hai mai fatto prima?”
dice lei, “Cosa, rubare un'auto?” risponde insicuro lui.
Mercer
ha diciannove anni, le ceneri in borsa di una madre deceduta da nove
mesi ed un fratellastro in giro per l'America da recuperare per
fargli pervenire l'infausta notizia.
E'
così che, squattrinato e solo, decide di rubare un'auto da un
autolavaggio ed incamminarsi per andare a conoscere Arlen, di
diciotto anni più grande di lui in fuga da polizia e pessime
compagnie. Felon-Nevada. Sacramento, Los Angeles-California.
Ensenada-Mexico: inizia il viaggio on the road, ascoltando
audio libri western ed indipendenti brani d'autore, tra suggestivi
tramonti d'America e deserte strade assolate, fino a che Mercer non
riceve una chiamata. E' la proprietaria dell'auto: una bella voce
simpatica ed amichevole la quale avanza presto una bizzarra
proposta...
Da
qui si entra nel vivo del film che vedrà il protagonista venire a
contatto con pittoreschi ed eccentrici personaggi quasi provenienti
da epoche differenti, come usciti da macchine del tempo un po'
sballate: ex hippie stralunati o ragazzine ninfomani e drogate, ma
sarà solo quando magicamente verrà scovato personalmente dalla
misteriosa voce con cui, nel corso delle telefonate ha stretto
un'intima amicizia, che il suo viaggio comincerà a girare veramente.
Un
film tecnicamente movimentato: girato quasi interamente con camera a
mano/spalla, vanta una spontaneità nei movimenti di macchina atipica
ed affascinante. Panoramiche a schiaffo, bruschi avvicinamenti della
camera ai protagonisti, riprese da punti di vista nuovi ed efficaci
nonché inusuali contre-plongée sognanti, rendono il film quasi un
esercizio dall'estetica sperimentale che non si serve però della
sola tecnica per raccontare una storia bensì si avvale anche del
sentimento.
Un
sentimento quasi mai reso volgarmente esplicito a parole ma sempre
suggerito da micro-gesti carezzevoli percepibili lievi ed eterei,
accompagnati dai silenzi pieni dei personaggi che amabilmente
comunicano attraverso i fremiti dei propri corpi.
Una
tendenza sperimentale investe anche la narrazione: il romantico road
movie si fonde e confonde insieme ad onirici balletti francesi e
fantascientifiche sparizioni di corpi sulla spiaggia.
Affascinante
anche l'uso studiato del flashback mai noioso,
ottimo espediente per raccontare il background del
protagonista riportando il suo passato in vita solo all'occorrenza,
nei momenti di maggior contatto con il suo presente evitando lunghe
digressioni e mantenendo vivo e frizzante il ritmo narrativo.
Un
viaggio alla scoperta di un mondo altro, lontano dalle campane di
vetro sotto cui “non farsi rubare il cappello”, alla volta di
nuove consapevolezze, smentendone una in particolare, quella secondo
cui si dice che, nella vita, più si lascia meno si perde.
Neanche
a dirlo, una colonna
sonora degna
di un road movie: brani di Elliott Smith, The Black Keys e
soprattutto Matthew Ward. Un film da ascoltare!
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