Presentato
al Sundance Film Festival nel 2010 e premiato con il Premio del
Pubblico, è l'esordio dietro la macchina da presa di Josh Radnor,
seguito dal più recente e già recensito Liberal
Arts.
Happythankyoumoreplease è
una storia a tratti autobiografica che racconta l'evolversi di tre
vicende più o meno intrecciate tra loro in una New York non
invadente ma, già dalle prime inquadrature, molto caratterizzata con
le tradizionali cisterne sui tetti, i bizzarri personaggi, gli
artisti e banchetti di ogni sorta per le strade: sequenze d'ordinario
micro-macro cosmo in una metropoli sempre affascinante.
Josh
Radnor è Sam Wexler, tenero e stropicciato scrittore quasi trentenne
in cerca di editore nonché d'ispirazione. E' un giorno importante
per lui, ma ignora quanto, talvolta, una semplice mattinata
possa trasformarsi in una surreale avventura. Sul metrò incontra un
bambino che ha perduto la madre ed in qualche modo, decidendo di
rimanere insieme, come anime che si scelgono tra tante, diventano
piccoli amici. Ma nella vita di Sam entra anche Mississippi, giovane
e bella cantante che si imbatte nella sua sregolatezza cercando di
porvi ordine.
Oltre
alla storia principale, sono ben delineate anche le altre due storie
che, seppur secondarie, sono raccontate nei particolari ed
approfondite, tra cui quella dell'amica di Sam, Annie, affetta da
alopecia, organizzatrice di strani party hippie, alla ricerca di un
uomo vero ed in fuga da un passato sentimentale difficile da
dimenticare.
Un
po' meno approfondita la terza storia, componente comunque importante
del delicato intreccio narrativo: quella della cugina Mary Catherine
(brava Zoe Kazan già recensita in Ruby
Sparks)
e del suo ragazzo Charlie afflitto dall'atroce dubbio a proposito di
un suo eventuale trasferimento a Los Angeles.
Sono i quasi trentenni in cerca di sistemazione, economica e sentimentale, che il cinema indipendente contemporaneo ritrae spesso da qualche anno a questa parte: giovani quasi senza speranza, slackers disoccupati o precari, nel lavoro e nell'amore, ma dotati costantemente di un'eccellente ironia che va a sconfinare in riflessioni sempre consapevoli sul presente o sul futuro senza perdersi in facili pietismi.
Un
tema molto caro al regista, quello degli slackers, mutuato
sicuramente dall'omonimo film di Linklater che Radnor stesso, insieme
al P.T. Anderson di Magnolia, dichiara
di venerare come regista, grazie alla cura che entrambi
dedicano alla costruzione dei loro personaggi ed ai dialoghi
drammatici ma veri al contempo che aprono le menti degli spettatori.
Una
sensibilità particolare porta, inoltre, la regia di Radnor, a
superare la mera grammatica cinematografica per conferirle nuovi
significati: ciclicamente, infatti, nel corso della narrazione, ogni
personaggio vive il proprio climax ed è proprio in tale momento che
la macchina da presa si avvicina fino quasi ad andare addosso ai visi
dei suoi attori, passando da descrittivi e contestualizzanti piani
larghi/ totali, a primissimi piani intensi ed emozionanti, in una
duplicità stilistica che si fa notare ed amare.
Bella
colonna sonora da ascoltare e riascoltare!
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