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domenica 1 dicembre 2013

Frances Ha

 Il bianco e nero contemporaneo di una New York complicata, moderna, e romantica, in stile Woody Allen, apre un piccolo gioiellino atteso da mesi e che finalmente si è mostrato in tutto il suo splendore. Un film che rappresenta un piccolo viaggio nella vita di una piccola donna, tra le strade di una piccola New York, grande protagonista del film, con i suoi quartieri affascinanti.

Un'opera a metà tra il parlato e il musicato, “corsa” da una Greta Gerwig singolare, la quale rappresenta un po’ il preludio a quel corto poi diretto da Spike Jonze in cui si scatena con energia travolgente.
Scritta dal regista Noah Baumbach (già collaboratore di Wes Anderson e regista del meno brillante Greenberg) e dalla stessa Gerwig, la sceneggiatura è il fulcro pulsante dell’opera: i dialoghi, contraddistinti da un’originale spontaneità, lasciano interagire personaggi scapigliati dalle vite frugali, splendidi bohemien contemporanei.
La storia avvincente e specialmente ordinaria della protagonista, racconta il vagabondaggio artistico, affettivo e materiale di Frances, eroina goffa e un po’ maldestra, che si districa con una naturalezza ammirevole tra le piccole grandi cose della sua vita quotidiana e complicata, sotto le note di una colonna sonora perfetta che suona Paul McCartney e David Bowie.

BROOKLYN – CHINATOWN – SACRAMENTO – PARIGI – NEW YORK

Una città di corsa dunque, vista attraverso gli occhi di  una giovane donna svampita che “non sa ancora fare l’adulta” e che corre ballando per le strade come un’adorabile bambina alla ricerca di qualcosa. A cena con Adam Driver: eccolo riconoscibile, un altro dei perfetti slackers sognatori contemporanei che abitano il film.

Un po’ Jules et Jim, un po’ Manhattan. Lo stesso regista ha dichiarato di essersi ispirato a Woody Allen e al suo operatore Gordon Willis per il bianco e nero del film che strizza l’occhio anche a Truffaut, ai suoi triangoli amorosi ormai entrati nella storia e ad un cinema che ha molto a che fare con lo stile europeo: Greta Gerwig è un po’ la Delphine de Il raggio verde, l’eroina disadatta dell’oggi, goffa e maldestra, ma amabile in ogni sua attraente debolezza. Undateble

venerdì 15 novembre 2013

Castello Cavalcanti

Scritto e diretto da Wes Anderson, interpretato da Jason Schwartzman e prodotto, tra gli altri, da Roman Coppola, Castello Cavalcanti è stato presentato ieri al Roma Film Festival dopo essere stato pubblicato in anteprima sul sito di Prada.

Atmosfere e scenografie posticce alla Dogville si mischiano ai fluidi movimenti di macchina diretti dal genio di Anderson. La sequenza iniziale in cui sfilano davanti alla macchina da presa quasi dei tableaux vivants, con personaggi pressoché immobili che ascoltano la sera circospetti, sotto un brusio di voci indefinite, è uno dei preludi più intensi del cinema, quasi ai livelli dell’intro di Antichrist di Lars von trier con il suo struggente Lascia ch’io pianga.

Settembre 1955, Italia: Un pilota di macchine oggi d’epoca fa un incidente al Castello Cavalcanti e si ferma nel locale di passaggio. I colori sono quelli prettamente tipici del regista quindi sullo schermo la prevalenza di gialli, arancioni e suggestioni pop ricorda gli anni stessi in cui è ambientato il film.  La collaborazione fashion con Prada s’insinua nella storia senza invadenza, sposandosi perfettamente con gli strepitosi interni del bar e le scenografie da sogno. 
Un’atmosfera veramente d’antan, felliniana, silenziosa, non c’è la nebbia di Amarcord ma quasi la si percepisce, tra la penombra di un luogo senza tempo e senza spazio.
C'è il fascino di Schwartzman, dell'uomo che chiama la sua sweety per non farla preoccupare fissando la barista e sognando figli con le donne di tutto mondo. Italia e America si fondono e confondono. Un corto strepitoso da non perdere grazie anche al fascino della sera e del bancone del bar che richiama la magia dei Nottambuli di Hopper e di tutte le malinconie artistiche cantate al cinema e non solo.

lunedì 12 agosto 2013

A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III

Un film di Roman Coppola con Jason Schwartzman e Bill Murray, USA, 2012

Sembrerebbe impossibile parlare di A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III, scritto e diretto da Roman Coppola, prescindendo in assoluto dal modo di fare cinema dell'amico Wes Anderson, con cui per altro collabora da anni.

Prima regia di fiction, dopo una carriera da video artist abbastanza fornita, per il fratellino e figlio d'arte di casa Coppola: una commedia ambientata a Hollywood, nel cuore di una Los Angeles piena di luci, vissuta di notte, tra realtà e fantasia, in ville e ospedali.
Anche i personaggi quasi usciti da quell'incantevole suite dell'Hotel Chevalier, e di conseguenza i loro ottimi interpreti, rimandano al cinema di Anderson, primo tra tutti Jason Schwartzman (The Darjeeling Limited) cugino stesso di Roman e Sofia, nipote, dunque, del maestro Francis Ford Coppola. Non sarebbe mai potuto mancare, a suggellare la sacra unione d'intenti cinematografici di famiglia, anche Bill Murray (Broken Flowers) sempre perfetto in ogni ruolo malinconicamente comico che interpreta.

Presentato all'ultima edizione del Rome International Film Fest, racconta la storia divertente ed ossessionante del grafico pubblicitario Charles che a causa di inconvenienti sentimentali, viene lasciato dalla fidanzata. Non riuscendo a farsene una ragione, escogita ogni piano per poter riavere a che fare con lei. In una confusione estetica sconcertante, realtà e fantasia si compenetrano fino a confondere gli stessi protagonisti, quasi usciti da un b-movie anni '70.
Un film circolare, dall'incipit geniale, quasi animato, ed un finale meta-cinematografico esaltante. Un'opera prima gradevole a cui manca la brillantezza e l'acume del cinema a cui si ispira ma che comunque è ben scritta, con dialoghi in gran parte divertenti, un ritmo perlopiù sostenibile ed uno stile che nel complesso acquisisce una dignità propria.
Grande colonna sonora di Liam Hayes.



It premiered at Rome International Film Fest in 2012. It would seem impossible to say something about A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III, written and directed by Roman Coppola, regardless of the way of making films of his friend Wes Anderson. Not only photography but also the characters refer to the cinema of Anderson: there are Bill Murray, Jason Schwartzman ( Roman and Sofia Coppola's cousin) and a very charming b-movie atmosphere.
Well written with brilliant dialogues, this first effort of Roman Coppola proved to be a success, despite not possess the acumen of cinema which is inspired. Great soundtrack by Liam Hayes!





venerdì 14 giugno 2013

The Darjeeling Limited

Un film di Wes Anderson con Owen Wilson, Adrien Brody, J. Schwartzman, USA, 2007
E' stato presentato a Venezia ed è la sesta prova di regia dell'indie texano Anderson, perla rara scritta insieme a Roman Coppola (con cui continua ancora oggi un efficace sodalizio artistico) e a uno dei tre splendidi protagonisti, l'attore Schwartzman.
Ad aprire la scena è un viaggio cinematografico all'interno di un taxi spericolato con a bordo uno dei cammei più misteriosi dell'intero film: Bill Murray e le sue due vintage valigie. Sceso dall'auto, inizia a correre ma il Darjeeling Limited, si sa, non aspetta nessuno.

Il viaggio continua, ma a bordo dell'eccentrico, colorato, scanzonato e malconcio treno per Darjeeling, su cui viaggiano tre bizzarri peronaggi “alla Anderson”: tre fratelli in missione per conto di se stessi, con un itinerario da rispettare e l'intenzione, dopo un anno di silenzio reciproco, di ricominciare a fidarsi l'uno del dell'altro.
Un patto di fratellanza serratissimo, dunque, condotto dal fratello maggiore, abile regista dell'incontro, che con maestria e teatrale supponenza tesse le fila di una famiglia in subbuglio.

C'è tutto Anderson in questa commedia multicolor: puro virtuosismo ed eccellente estetica cinematografica, fino all'ultimo fotogramma.
Attualmente in post produzione con il nuovo film in uscita nel 2014, The Grand Budapest Hotel, il suo cinema è sempre iconico, pop, fatto di colori e fronzoli ma anche di inquadrature più che studiate con acuta finezza: mezzi primi piani, primi piani frontali, sguardi in macchina, particolari e dettagli mozzafiato.
Inquadrature fisse o carrelli a precedere dall'intrinseco valore semantico, rappresentano una storia raccontata anche grazie al delicato valzer della macchina da presa che poetica e malinconica balla, cantando la sua verità
Plongée e contre-plongée audaci, con camera completamente a picco puntata verso l'alto o il basso, il più delle volte a solleticare quel vizio artistico, marchio di fabbrica, firma d'autore, di riprendere le mani dall'alto: mentre guidano, servono una bibita, aprono una valigia o accarezzano profumi.

E poi c'è una sceneggiatura impeccabile suonata da musiche di prima scelta.

Finale epico che non svela il suo arcano, almeno non prima di essersi gustati, come a non averne mai abbastanza, il piccolo prequel Hotel Chevalier: dieci minuti di poesia d'autore interpretati dalla coppia Schwartzman-Natalie Portman, da cui Anderson riprende il feticcio dell'oggetto, il ton sur ton giallo limone di arredi e pareti, e lo stile tutto.

Piccoli gioiellini crescono: ambientato a Parigi è la base di racconto ideale, da sola o collegata al Darjeeling Limited, senza dimenticare che, comunque, “quei personaggi sono inventati”.

mercoledì 20 febbraio 2013

MOONRISE KINGDOM


Hitchcock diceva che al mondo sono solo cinque o sei le storie che registi ed artisti possono raccontare attraverso le loro opere. 
Una di queste, senza dubbio alcuno, è quella che parla d’amore, ché, suonerà anche retorico ma, si sa, è tutto quello che conta veramente. O almeno la pensano così i due piccoli protagonisti rivoluzionari di Moonrise Kingdom, la favola romantica scritta a quattro mani da Wes Anderson col figlio e fratello d’arte d’America Roman Coppola, che ha aperto l’ultimo Cannes e si avvia dritta verso l’Oscar tra i colori sgargianti di un’ambientazione pop anni sessanta virata al giallo limone-canarino ed arredamenti d’epoca da collezione. Sembra essere affezionato, Wes Anderson, agli anni della controcultura per eccellenza, affascinanti ed accoglienti, che ha ritratto con originale maestria scenografica anche nei capolavori indimenticati de “I Tenenbaum” e “Il treno per Darjeeling”  anch’essi fucine di personaggi bizzarri dalle battute irriverenti e cinicamente divertenti.
Oggi, il regista texano ci regala le suggestioni di una storia d’amore tenera ma allo stesso tempo precocemente matura, quella di due dodicenni che decidono di scappare insieme e fuggire dalla solitudine di un mondo in cui c’è spazio solo per la triste mediocrità di chi si attiene alle regole o  è annoiato persino da se stesso.
Dunque si parte: gatto in tasca, calze al ginocchio e scarpe della domenica, inizia il viaggio dei fidanzatini verso nuovi lidi sereni tra una tavola per due romanticamente apparecchiata sugli scogli ed un giradischi che li fa ballare. E’ così, sotto le note di canzoni francesi che parlano di loro, che Sam e Suzy scoprono baci umidi di nuova emozione e si leggono a vicenda, prima di addormentarsi abbracciati, favole magiche e misteriose, come artisti d’epoca innamorati che si dedicano canzoni con parole d’amore: critica feroce alla vuotaggine moderna dell’umanità, questa, così infinitamente libera da essersi ormai ridotta, come ha detto qualcuno, ad uno sterile mutismo davanti ad un microfono acceso.
E’ attraverso un binocolo sempre a portata di mano che Suzy scopre il mondo intorno a sé decidendo di non gradirlo affatto, e lo si intuisce già dalle prime suggestive sequenze del film in cui carrellate che lasciano senza fiato mostrano la casa di bambola in cui vive, adornata e ricca di particolari studiati con perizia ed aderenti ad una visione estetica tipica dell’occhio di Anderson, la cui poetica si potrebbe definire “del dettaglio perfetto”.
Ogni quadro è composto secondo un equilibrio speciale che dona alla vista un’armonia difficile da ritrovare altrove, accompagnata, per di più, da una colonna sonora che, come sempre, vanta una ricerca attenta e, è il caso di dirlo, più felice che mai.
Anche oggi si è finito per parlare d’amore: sarà anche vero che le trame da raccontare sono solo cinque o sei in tutto ma fino ad ora, con seri dubbi al riguardo, rimango stupita di cotanto amore fluttuante nelle sale, anche se, con tutta probabilità, questa tendenza sarà da imputare a nient’altro che solo un periodo cinematografico felicemente fortunato.

Recensione già pubblicata su http://inchiostro.unipv.it/?p=9676