Un film di Roberto Faenza con Toby Regbo. Italia, USA, 2011
“A
forza di dirmi che sono un disadattato mi hanno convinto che lo
sono”.
E'
così che inizia Un giorno questo dolore ti sarà utile per la
regia di Roberto Faenza, ottima versione cinematografica dello
splendido romanzo di Peter Cameron, autore tra i più acclamati della
letteratura americana contemporanea, secondo solo al maestro del
silenzioso verso Rymond Carver.
James
Sveck (Toby Regbo) è un diciassettenne introverso e sensibile, profondamente
perduto in un mondo privato ed inaccessibile, le cui misteriosa
chiave è detenuta orgogliosamente solo dall'anziana e dolce nonna (Ellen Burstyn),
unica amica e confidente silenziosa.
Tra
fragilità ed irriverenza, la personalità di James, complessa ed
affascinante come i personaggi (ri)belli e dannati di un film di Gus
Van Sant o Bertolucci, si trova a scontrarsi con le superficiali vite
maldestramente condotte da una madre plurisposata (Marcia Gay Harden), un padre goffo e
un po' cialtrone (Peter Gallagher) e una sorella isterica, civetta e supponente (Deborah Ann Woll).
Ma
tra gite inquietanti, compagni euforici e canti goliardici in pullman
gremiti, a James non resta che crogiolarsi nella propria anormalità
senza ritmo né perché, sfuggendo alla mediocrità da cui è
circondato con una corsa incessante oltre i propri confini, metafora
scontata della società contemporanea.
Ed
inizia a correre per davvero al fianco di una life coach che,
rendendolo “muscoloso ed assennato”, inizierà a farlo parlare a
ritmo di jogging ed endorfine con le quali eludere la sua giovane
confusione.
Come
in ogni bella storia, romantica e sognante, non manca la scena intima
e tenera del ballo, in questo caso tra James e la nonna, topos
poetico ed europeo di un cinema che vale: rappresenta, in un climax
potente pur nella sua semplicità, la soluzione migliore ad una
ricerca turbolenta e profonda tra anime perdute che ogni tanto,
fortunatamente, si scelgono diventando elette compagne di viaggio,
sotto le note di una colonna sonora delicatamente introspettiva di fattura italiana.
E'
così che il turbamento adolescenziale di un ingenuo e solitario
ragazzino perduto in una New York snob ed aristocraticamente
intellettuale, un po' falsa e un po' borghese come in un libro di
Updike, si fa vero amore, ripreso da un occhio sensibile ad
un'estetica metropolitana dal sapore indipendente.
Una
produzione italo-americana ben riuscita ma passata un po' in sordina:
girato interamente a New York sull'ex ferrovia da pochi anni
riqualificata e diventata parco pubblico nonché spazio dedicato
anche all'arte contemporanea, è il primo film ad essere stato
ospitato in questo luogo non-luogo dimostratosi perfetto coronamento
di una storia già potente di per sé diventata oramai, un cult
d'eccellenza
da non perdere.
Un bel misto tra il cinema d'autore italiano, fatto di movimenti consapevoli, non patinati, sempre significativi ed il respiro internazionale di una storia ben recitata da un cast assortito e valido dalle ambientazioni boho-chic dei quartieri artistici di una città protagonista mai invadente.
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