Un
film di Sam Mendes con Jhon Krasinski, Maya Rudolph. USA, 2009.
Si
chiama Away We Go, è stato presentato all'Edimburgh
International Film Festival e tra i produttori figura lo steso
Turtletaub di Little Miss Sunshine e Safety Not Guaranteed.
Per la regia di colui che dopo American Beauty ha scalato
l'olimpo del cinema internazionale fino ad arrivare a dirigere il
recente Skyfall, in Italiano,
American Life.
Si nutre
d'infinita tenerezza la storia d'amore fuori dai cliché di due
bizzarri e giovani promessi genitori confusi, Verona e Burt (Maya
Rudolph e Jhon Krasinski), che dopo aver appreso la non programmata
lieta notizia partono in viaggio per gli Stati Uniti a cercare il
loro posto al sole: il luogo migliore per far crescere la creatura
che attendono con ingenua dolcezza e che li renderà senza dubbio i
migliori genitori possibili.
Ce ne andiamo.
Phoenix-Tucson-Madison-Montreal-Miami.
Queste le tappe
di un percorso di vita familiare intorno al mondo, alla ricerca di
risposte che non arrivano nonostante la continua speranza di due
genitori impreparati che non hanno ancora perso la fantasia per
sperare nel megio e credere nelle promesse allo zucchero, sotto le
stelle, fatte su un tappeto elastico davanti ad alberi d'arancio,
ananas e banane di plastica.
E lo sguardo
materno di lei che guarda il suo romantico uomo contemporaneo fragile
e sensibile è tra le migliori sensazioni che un film del genere
possa offrire in segno di vero amore: chiacchierano perdutamente
confidandosi senza limiti né segreti le proprie paure, ed è così
che si costruisce una solida relazione condita dall'amabile cinismo
di lei sapientemente dosato al goffo humour di lui. Scherzano e donano
leggerezza alle proprie vite non avulse dai problemi della
contemporaneità, escogitando un fedele gioco di attenzioni e intime
convenzioni con le quali si divertono e fanno divertire dando
spettacolo di se stessi in un mondo meno ammaliante di loro e ancora
inesplorato.
Un modo naif,
colorato e sbarazzino di raccontare le storie, quello di Mendes, che
rende perfettamente riconoscibili le sue scene insolite, iconiche,
dall'estetica un po' pop, un po' sgangherata e on the road:
che sia la scena di Verona e della sorella nella vasca ba bagno
d'esposizione a raccontarsi i ricordi del passato, o le filosofiche
metafore dell'amore familiare come pancakes tenuti insieme solo da
litri di sciroppo d'acero, ogni oggetto e ogni colore trovano il
proprio posto come, in fondo, i due fantastici protagonisti che dopo
svariate (dis)avventure (tra cui quella con la “cugina” di Burt –
ottima maggie Gyllenhall, hippie sfegatata mamma senza passeggino)
scoprono qualcosa di cui in cuor loro, inaspettatamente, erano già
certi.
Più che un film
sulla crescita dei due protagonisti (già maturi nel temere una loro
possibile immaturità e nello scandagliare continuamente, sempre più
affiatati, le proprie debolezze interrogandosi su se stessi e sui
propri sentimenti) lo definirei un film sulla crescita del mondo
intorno ad essi, sulla loro missione nell'aver sparso un po' della
loro complice verità tra i giardini d'America sotto una colonna
sonora da amare fino all'ultima nota, in gran parte composta da
favolosi e intimi brani di Alexi Murdoch, indipendente cantautore
inglese la cui calda voce un po' malinconica e il sound molto
indie hanno reso il film favolosamente degno d'esser anche solo
ascoltato, insieme ai classici di Bob Dylan, George harrison, The
Stranglers e Velvet Underground: possibile resistervi?